L’ascesa della Nato e il declino dell’Ue allo status di ausiliario dell'Alleanza


Nel sondaggio autunnale Eu Key Challenges of Our Times, il 70% degli intervistati della classe operaia ritiene che la guerra in Ucraina abbia causato loro gravi conseguenze economiche; solo il 49% degli intervistati della classe superiore la pensa allo stesso modo. Il 52% della classe operaia considera le condizioni di lavoro eque come la cosa più importante per lo sviluppo sociale ed economico dell’Ue. Mentre solo il 30% della classe superiore avverte questo problema. Il 66% della classe operaia avverte che la qualità della propria vita sta peggiorando; ma solo il 38% della classe superiore la pensa allo stesso modo. Non c’è bisogno di cercare oltre la frammentazione tra l’élite del World Economic Forum appena concluso e i rigidissimi Young Global Leader del Wef, dalle cui fila anni fa uscirono anche Macron e la Merkel. Quest’anno, dalle montagne innevate svizzere sono giunte in collegamento anche le acrobazie di Henry Kissinger. Cambiando idea, l’ex Segretario di Stato americano ha dichiarato alla platea del Forum che, a suo parere, “l’adesione dell’Ucraina alla Nato costituirebbe un buon esito del conflitto”. E tuttavia, ha aggiunto che per evitare un’escalation del conflitto con il nucleare, “l’Oc cidente deve continuare a dialogare con la Russia”. Una misura di fiducia era essenziale tra Washington e Mosca anche durante i passaggi più pericolosi della Guerra Fredda. Questa fiducia tuttavia non esiste più, come hanno chiarito Putin e altri funzionari russi, mentre il ponte tedesco tra Occidente e Oriente è stato bruciato. La gravità di queste conclusioni e le loro implicazioni per il futuro sono immense, sia per l’Occidente che per i non occidentali. Un mondo pieno di ostilità sappiamo a cosa può condurre. Un mondo privo di fiducia non aiuterà. La Russia è stato uno dei principali argomenti di discussione al raduno di Davos di quest’anno, ma è il rapporto di questa guerra in corso con l’Europa che gela le speranze. La vera battaglia in corso è tra l’oligarchia finanziaria per conto della folla di Davos e un’e conomia mista pubblico-privata in luoghi come Russia, Cina, e altrove nel sud del mondo. La frammentazione delle società occidentali non era all’ordine del giorno, ma i sondaggi europei mostrano chiaramente una rottura. E una domanda frequente sugli stessi media americani da quando la guerra in Ucraina è iniziata lo scorso febbraio è: perché mai l’Europa dovrebbe assecondare i neocon Usa nelle loro politiche che stanno guidando l’Europa verso la deindustrializzazione e una crisi energetica di lunga durata mentre gli Stati Uniti raccolgono i frutti nelle esportazioni di Gnl? Su American Affairs, Wolfgang Streeck - sociologo ed economista tedesco e direttore emerito dell’Istituto Max Planck per lo studio delle società a Colonia - ricorda come la costruzione Ue soffrisse di quello che venne chiamato eufemisticamente un “deficit democratico” fin dalle origini. In effetti, tra gli addetti ai lavori a Bruxelles, si sente spesso la battuta che, con la sua attuale costituzione, l’Unione europea non sarebbe mai autorizzata ad aderire a se stessa: “L’invasione russa dell’Ucrai na sembra aver risposto alla questione dell’ordine europeo ripristinando il modello, creduto ormai storia, della Guerra Fredda: un’Europa unita sotto la guida americana come testa diponte transatlantica per gli Stati Uniti in un’alleanza contro un nemico comune, allora l’Unione Sovietica e ora la Russia, in una posizione di rinnovata egemonia sull’Europa occidentale. L’asce sa della Nato ha implicato il declino dell’Ue allo status di ausiliario civile dell’Alleanza, sottomesso agli obiettivi strategici americani, soprattutto ma non esclusivamente in Europa”.

Una teoria condivisa da Lucio Caracciolo, quando sostiene che “ormai Ue e Nato si sovrappongono quasi perfettamente. L’Europa è quindi parte di un progetto paraimperiale, se così si può dire, americano”. E’ probabile - aggiunge Streeck - che l’Ue svolga già un ruolo importante nella generazione di denaro pubblico per la ricostruzione dell’Ucraina una volta terminata la guerra. Lo stesso vale per la fornitura di sostegno finanziario ad altri paesi della periferia europea che saranno candidati all'Unione Europea e, in ultima analisi, all’adesione alla Nato. Inoltre, nel sud “non c’è motivo di credere che la supremazia della Nato contribuirà a migliorare la performance economica italiana; al contrario, sanzioni e catene di approvvigionamento accorciate rischiano di imporre costi aggiuntivi alle economie mediterranee. Costi che sicuramente chiederanno un risarcimento, non dagli Stati Uniti ma dall’Ue”. Con l’aumentare dei costi della “coesione”, potrebbe essere imminente uno spostamento del potere politico e dei fondi di coesione a favore degli stati del fronte orientale dell’Ue. Altro che duopolio Francia - Germania. Saranno gli stati del fronte orientale a dominare l’agenda politica, sostenuti dagli Stati Uniti. L’Ue subordinata alla Nato - come confermato nel recente vertice - si ritroverà a dipendere dalle bizzarrie della politica interna degli Stati Uniti. L’autore specifica come qualunque cosa gli Stati Uniti facciano o non facciano all’estero hanno poche o nessuna conseguenza per i suoi cittadini in patria. Diverso è per gli europei: “Ciò rende ancora più sorprendente che i paesi europei abbiano, apparentemente senza alcun dibattito, lasciato così completamente la gestione dell’U craina agli Stati Uniti, affidando la gestione dei loro interessi vitali ad un agente con precedenti pubblici di incompetenza e irresponsabilità”. Uno scontro duraturo tra eserciti russi e ucraini unirà l’Europa sotto la Nato e obbligherà i paesi europei a mantenere alti livelli di spesa militare, rafforzando al contempo la posizione degli Stati Uniti come fornitore di energia e materie prime di vario genere per l’Europa, mentre ciò che l’Euro pa potrà fornire agli Stati Uniti supererà ciò che la Russia può fornire alla Cina. Europa vaso di coccio, insomma. C’è solo da sperare che si avveri l’altra profezia di Streeck, annunciata in un articolo per la New Left Review: poiché il capitalismo contemporaneo è afflitto da cinque disordini - crescita in declino, oligarchia, inedia della sfera pubblica, corruzione e anarchia internazionale - per i quali al momento non esiste alcuna agenzia politica per affrontarli, esso continuerà a regredire e atrofizzarsi finché, a un certo punto, potrebbe arrivare alla propria fine.

Raffaella Vitulano



Washington Post: “Dategli i carri armati!” Le élites di Davos sostengono Zelensky 

Dategli carri armati!’: le élites di Davos si stringono attorno all’Ucraina“: così il Washington Post titola sulla controversia dei carri armati nella riunione Nato a Ramstein, in Germania. Berlino frena, gli americani spingono. Ma l’invio di armi a Kiev, a differenza di quanto affermano i suoi potenti sostenitori, non porterà alla sconfitta della Russia e alla liberazione dell’Ucraina, né quindi alla pace. Servirà solo a prolungare il conflitto. Una prospettiva spiegata da un articolo di Max Fisher sul New York Times, in cui lo schema delle guerre di logoramento “offre un’altra lezione: un eventuale cambiamento politico all’interno dei paesi raramente comporta quella svolta che gli osservatori sperano possa un giorno spingere Mosca a ritirarsi”. Il fatto che un articolo di questo genere sia stato pubblicato sul Nyt proprio mentre a Davos si afferma l’esatto contrario è alquanto interessante. Conseguenze certe della guerra nel nostro Vecchio continente? Il Wall Street Journal ammette: “La guerra in Ucraina ha messo in ginocchio l'Europa, economicamente, militarmente e socialmente, rendendola obbediente agli ordini degli Stati Uniti”.

Ra.Vi.


Thomas Fazi: “Per i giovani leader i governi nazionali sono superati” 

Ci sono centinaia di giovani leader globali nella finanza, nei media, nel mondo accademico e nei livelli inferiori di governo che lavorano a braccetto per realizzare convinzioni spesso neoliberiste e antidemocratiche, e che mostrano un evidente disprezzo per la classe operaia. A questi “leader globali” importa davvero se ciò che resta dell’industria dei loro paesi debba essere trasferito negli Stati Uniti o altrove? Dopotutto, per loro la sovranità nazionale è superata. Come scrive Thomas Fazi su Unherd: “Sa muel Huntington, che ha il merito di aver inventato il termine ’uomo di Davos’ (ricco, poliglotta, cosmopolita, naturalmente global), ha sostenuto che i membri di questa élite globale hanno poco bisogno di lealtà nazionale, vedono i confini nazionali come ostacoli che fortunatamente stanno svanendo e vedono i governi nazionali come residui del passato la cui unica funzione utile è facilitare le operazioni globali dell’él ite”. L’uomo di Davos ritiene inoltre che la classe operaia sarà presto sostituita dall’Intelligenza Artificiale.

Ra.Vi.






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