L’economia israeliana vacilla senza la manodopera palestinese


Il governo ha chiuso i cancelli a circa 120.000 lavoratori palestinesi dall’inizio della guerra a Gaza, ma non ha presentato un piano per sostituirli con lavoratori stranieri. Nel frattempo, gli imprenditori che hanno perso una percentuale considerevole della loro forza lavoro ne stanno pagando il prezzo: è il risultato di un’in chiesta realizzata dal quotidiano israeliano Haaretz che fa il punto sulla situazione economica del paese dopo mesi di guerra. Solo di recente infatti il primo ministro Benjamin Netanyahu Benjamin Netanyahu ha accennato alla politica del governo volta a ripristinare la possibilità dei lavoratori palestinesi di entrare in Israele dopo averli vietati all’inizio della guerra. In una conferenza stampa, ha risposto che la questione era complicata per motivi di sicurezza. A parte qualche migliaio di eccezioni, il governo ha rifiutato di permettere ai lavoratori della Cisgiordania di entrare in Israele da quando la guerra è iniziata in ottobre. Non è stato proposto alcun piano per sostituirli con altri lavoratori e sono in corso tentativi febbrili per colmare il divario prevedendo l’ingresso di lavoratori provenienti da altri paesi. Tuttavia, il reclutamento di lavoratori stranieri non risolverebbe nemmeno la grave carenza di manodopera che si è sviluppata nell’economia. Il governo ha assunto alcune decisioni per aumentare la quota di lavoratori stranieri, ma ci vorrebbe molto tempo per sostituire i 110.000 palestinesi che sono entrati legalmente in Israele per lavorare, oltre a un numero considerevole che ha lavorato in Israele illegalmente. Finora sembrava che Netanyahu, come molte volte in passato, avesse deciso di non decidere nel tentativo di evitare uno scontro con i membri della sua coalizione e con la sua base, che lo aggirano da destra. “Ma il mortale attacco terroristico a Ra'anana - spiega il quotidiano ha dato vento alle vele di coloro che sono contrari alla rimozione del divieto sui lavoratori palestinesi. Tra gli oppositori c’è il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che ha scritto su X (ex Twitter): “L’opposizione che abbiamo guidato nel governo per riportare indietro decine di migliaia di lavoratori arabi dalla Giudea e dalla Samaria sta impedendo i prossimi attacchi terroristici e non ci arrenderemo alle pressioni esterne o alla debolezza e alla cecità interiore”. I sospettati dell’attacco di Ra’anana erano all’interno di Israele senza permesso. Secondo un’analisi del ricercatore Haggay Etkes, prima della guerra circa 40.000 palestinesi lavoravano illegalmente in Israele. Ex responsabile dei rapporti della Banca d’Israele con l’economia palestinese, Etkes ha analizzato i dati dell’Ufficio centrale di statistica palestinese pubblicati sul quotidiano finanziario Globes. Nel corso degli anni, i funzionari israeliani hanno chiuso un occhio sul fenomeno dei palestinesi che soggiornano illegalmente, sebbene fossero ben consapevoli delle brecce lungo le parti recintate della barriera di separazione della Cisgiordania attraverso le quali erano entrati. Impiegare lavoratori stranieri - compresi i palestinesi - senza permesso è un reato punibile con una multa o con la reclusione. Tuttavia, la legge non è stata applicata con fermezza contro i datori di lavoro che assumevano palestinesi illegalmente. Circa 150.000 famiglie non hanno capofamiglia a causa del blocco sui territori, perché molti lavoratori non sostengono solo il proprio nucleo familiare. Il risultato è che centinaia di migliaia di palestinesi sono colpiti dall’incapaci tà di guadagnarsi da vivere in Israele. Il fatto che a così tanti palestinesi sia vietato vivere in Israele potrebbe avere conseguenze distruttive per l’econo mia dell’Autorità Palestinese e indirettamente esacerbare anche la situazione della sicurezza. La schiacciante valutazione delle organizzazionidi sicurezza israeliane secondo cui l’ingresso dei palestinesi in Israele aiuta l’eco nomia palestinese e la stabilità dell’Autorità Palestinese è un chiarointeresse di sicurezza per Israele. Tuttavia, i dibattiti sulla sicurezza nascondono una semplice verità: gli israeliani non vogliono svolgere lavori manuali in settori come l’edilizia e l’agricol tura, e l’economia israeliana dipende effettivamente dai lavoratori palestinesi. Le sovvenzioni per incoraggiare l’occupazione degli israeliani nell’edilizia e nell’agricoltura, lanciate in seguito alla grave carenza di lavoratori durante la guerra, hanno prodotto un magro raccolto di 773 israeliani – 682 dei quali nell’a gricoltura e solo 91 nell’edilizia.

Finché non esisterà un piano globale per sostituirli con lavoratori stranieri, la dipendenza dell’eco nomia israeliani dai lavoratori palestinesi continuerà nel prossimo futuro. Gli stipendi dei membri della Knesset non hanno avuto scossoni, ma viene tolto il terreno da sotto i piedi ad agricoltori, ristoratori, industriali e sviluppatori che hanno perso una percentuale significativa della loro forza lavoro in un solo colpo. Secondo una stima del capo economista del Ministero delle Finanze, il danno a breve termine alla produttività nei settori dell’edili zia, dell’industria e dell’agricol tura derivante dall’assenza di lavoratori palestinesi ammonta a oltre 3 miliardi di shekel (800 milioni di dollari) al mese. Man mano che questo danno si accumula, colpirà non solo gli imprenditori che dipendono dai palestinesi, ma anche l’economia israeliana nel suo insieme. Zvi Dror, amministratore delegato e proprietario di Arco-Inbar Industries Ltd., ha perso circa la metà della sua forza lavoro in un colpo solo. Prima dell’inizio della guerra impiegava 20 palestinesi di Jenin. “Al momento sugli alberi ci sono frutti per un valore di 1,6 miliardi di shekel”, afferma Daniel Klusky, proprietario di oliveti e segretario generale dell’Associa zione dei coltivatori di agrumi. Nel pieno della stagione degli agrumi, ai coltivatori manca il 75% della forza lavoro necessaria. Yossi Shabi, un imprenditore di impalcature, prima della guerra impiegava otto palestinesi e ora non ha nessuno. La sua fiorente attività era stata congelata in un solo giorno. Shabi, padre di tre figlie, vive nel quartiere Magdiel di Hod Hasharon. Sta cercando di reclutare lavoratori con tutte le sue forze, ma si ritrova a mani vuote. “Ho provato a coinvolgere lavoratori cinesi, ma vogliono 1.500 shekel al giorno e, anche in quel caso, non vogliono lavorare” dice. Il settore delle ristrutturazioni è stato particolarmente colpito dal divieto sui lavoratori palestinesi. Molti imprenditori sono sull’orlo del collasso economico. Secondo i dati della Population and Immigration Authority, prima dello scoppio della guerra il settore edile impiegava 80.000 palestinesi. Raul Srugo, presidente della Israel Builders Association, afferma che dovrebbero essere aggiunti altri 35.000 palestinesi impiegati illegalmente. Ciò significa una carenza immediata di circa 120.000 lavoratori e il blocco di metà dei cantieri in Israele. Secondo la valutazione del capo economista del Ministero delle Finanze, l’assenza dei palestinesi causerà una perdita a breve termine di 2,4 miliardi di shekel nella produzione mensile del settore edile. Un altro settore in difficoltà a causa della carenza di manodopera è quello dei servizi alimentari. Il ristoratore Ilan Zigdon ha dichiarato in un’audizione alla Knesset che, secondo le sue stime, prima della guerra l’industria impiegava 7.000 palestinesi. Zigdon, presidente del South Restaurateurs' Forum, ha detto che due dei suoi tre ristoranti sono stati chiusi a causa della carenza di personale di cucina. Gli israeliani non vogliono fare quei lavori. Mentre l’industria edile israeliana fatica a sostituire i lavoratori palestinesi e stranieri, un cantiere di Tel Aviv ha trovato una soluzione impiegando soldati israeliani recentemente congedati, di età compresa tra 24 e 27 anni. Oltre allo stipendio di 650 shekel ( 164 euro) al giorno, c’è un generoso bonus da parte dello stato, che rende particolarmente utile questo lavoro da studente. Sono 3.000 shekel ( 758 euro) dopo il primo mese per i nuovi lavoratori nel settore, altri 3.000 shekel dopo il secondo mese e 4.000 shekel ( 1011 euro) dopo aver completato i tre mesi. Il governo ed associazioni dei costruttori hanno recentemente lanciato una campagna per incoraggiare i lavori edili, concentrata sul reclutamento di uomini ultraortodossi e arabi israeliani. La campagna, che originariamente beneficiava di un piccolo budget da parte del Ministero dell’Economia e dell’Industria, ha prodotto in pochi giorni 1.100 candidati interessati. Gli israeliani scopriranno molto presto i percorsi gestionali del lavoro manuale: il caposquadra in un cantiere edile ha uno stipendio iniziale di 14.000 shekel ( 3540 euro) al mese, i dirigenti senior possono guadagnare 45.000 shekel ( 11.380 euro) al mese e attualmente mancano 2.500 capisquadra. Il sindacato israeliano Histadrut ha concordato con il Ministero delle Finanze che tutti i lavoratori contribuiranno con oltre 400 shekel (circa 100 euro) della loro retribuzione per finanziare il piano del governo che prevede sovvenzioni per 2 miliardi complessivi di shekel a fronte dei 9 necessari per i soldati di riserva. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il ministro della Difesa Yoav Gallant si sono affrettati a prendersi il merito degli annunci ai media. Il ministero delle Finanze teme un’esplosione del deficit fiscale al 6-7% del pil a causa delle conseguenze della guerra, ma il governo si oppone a misure dolorose per riportare il deficit entro limiti, come tagli alla spesa dei partiti di coalizione o aumenti delle tasse. Quindi non rimangono abbastanza soldi per le sovvenzioni ai riservisti. Così il presidente dell'Histadrut (Federazione Generale del Lavoro in Israele), Arnon Bar-David, ha dato l’annuncio di rinunciare al salario di un giorno bloccando l’intenzione del governo di congelare l’aumento del salario minimo, proposta ancora non del tutto esclusa da tutte le persone competenti del Ministero delle Finanze. Gli stessi riservisti, intanto, non sono stati esentati dal finanziamento delle sovvenzioni a loro stessi.


Raffaella Vitulano




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