Günther Anders: il coraggio della paura può salvarci dalla catastrofe dei conflitti


Immobili, imbambolati, assenti, quasi che la rassegnazione all’inevitabi le fosse una condizione annientatrice dello stupore e dell’or rore. Assuefatti alle immagini di cadaveri nei tanti conflitti nel mondo, i cittadini ovunque sembrano anestetizzati al dolore e alla paura. Di contro, re, imperatori, ministri, ambasciatori, generali già nel 1914: chi aveva le leve del potere era come un sonnambulo, apparentemente vigile ma non in grado di vedere, tormentato dagli incubi ma cieco di fronte all’or rore che stava per deflagrare nel mondo. Già all’inizio degli anni ’80 lo psicanalista Horst- Eberhard Richter, morto nel 2011, diagnosticò “la mancanza di parole e l’immobilità ottusa” della popolazione di fronte alla minaccia di guerra e diede un contributo significativo alla nascita del movimento pacifista contro lo stazionamento di missili nucleari a medio raggio. Su Globalbridge, lo studioso di conflitti Leo Ensel si chiede perché i timori di un’e spansione della guerra in Ucraina restino silenziosi e senza conseguenze, accettata come se fosse un evento naturale inevitabile. “Forse lo storico successivo troverà ancora più sconcertante di noi contemporanei il fatto che, sebbene a poco a poco quasi tutti i bambini sapessero che stavano affrontando guerre che portavano con sé le sofferenze più terribili anche per il vincitore, le masse non facevano ancora tutto con energia disperata. Abbiamo fatto tutto il possibile per scongiurare la catastrofe, ma abbiamo anche permesso con calma, e addirittura sostenuto, la sua preparazione attraverso armamenti, addestramento militare, ecc.”: con queste parole di Erich Fromm, esattamente 40 anni fa, Ensel introduceva un libro sulla paura piùprecisamente: la non paura - e l’armamento nucleare , pubblicato nel maggio 1984. Fromm formulò queste frasi alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale nel 1937 nel suo saggio “Sull’impotenza”. La citazione aveva già 47 anni a quel tempo. Il motivo per cui, quattro decenni dopo, questa citazione è purtroppo attualissima, non richiede ulteriori spiegazioni. Ancora una volta siamo di fronte ad guerra mondiale, ma la questione non sembra interessare e nemmeno emozionare più di tanto. Ensel si chiede cosa lo renda più sbalordito nella mancanza di imbarazzo, l’allegra spensieratezza e la mancanza di scrupoli al limite della follia con cui politici, ufficiali militari e media in questo paese intensifichino - quasi all’unisono e ogni giorno più stridulo fino al dolore - la consegna di sistemi d’arma più pericolosi e la definizione scenari bellici mentre l’apatia e la paralisi della stragrande maggioranza dei contemporanei ne discorre amabilmente nei talk. La situazione è drammatica. La stragrande maggioranza della popolazione è paralizzata nel silenzio e nell’immobilità, la giovane generazione di protettori del clima è cieca davanti agli occhi della politica degli armamentie ciò che è ancora attivo oggi sotto l’etichetta di “movimento per la pace” è prevalentemente emarginato, invecchiato e congelato nel rituale. “Secondoi sondaggi scrive lo studioso - quasi la metà della nostra popolazione credenella possibilità della guerra. Le persone sono colpite, ma difficilmente si muovono. Come possono persone passive e almeno esteriormente calme affermare attraverso questionari demografici che una grande guerra potrebbe essere imminente? Perché reagiamo come se si trattasse di un evento naturale sul quale non si può influire, anche se tutto ciò che accade in questa materia è in potere del calcolo e della decisione umana?”. Non c’è bisogno di scomodare le immagini di Goya citando il sonno della ragione e i disastri di ogni guerra. Ma bisogna chiedersi con Richter: “Noi cittadini ci sentiamo come se fossimo stati messi in uno stato stranamente immaturo che ci lascia senza parole. Siamo incapaci di pace?”. Nessuno negherà il senso di altre iniziative o manifestazioni che mirano a scongiurare altri temi sociali molto sentiti in piazza: “Le persone reagiscono con la lotta contro cose nocive relativamente tangibili (leggi clima), che inconsciamente sostituiscono l’oggetto della loro paura di gran lunga più pericolosa, ma quindi insopportabile”, una guerra nucleare in Europa: “Il potenziale di distruzione che le potenze nucleari hanno già accumulato è troppo mostruoso, tanto che non si osa tenerne a mente le dimensioni. Ci sono verità così orribili che viene fatto ogni sforzo per sopprimerle o banalizzarle”. E questa banalizzazione include anche una magica speranza di cambiamenti automatici, simile alla fede nei miracoli e quindi consumi con gratitudine la corrispondente propaganda del sistema. Menti a te stesso, ma questo ti fa dormire meglio. Il filosofo Günther Anders, che come nessun altro si è occupato del pericolo dell’autodistruzione nucleare dell’umanità, ha definito questo meccanismo “cecità dell’apocalisse”. Si tratta in pratica di imparare di nuovo a temere e, come scrisse Günther Anders 65 anni fa nelle sue “Tesi sull’era atomica”, ad avere di nuovo il “coraggio di temere”: “Ciò che è troppo piccolo e ciò che non corrisponde all’entità della minaccia è la portata della nostra paura. Non aver paura della paura, abbi il coraggio di avere paura. Anche il coraggio di provocare paura. Temi il tuo prossimo come te stesso”. E Anders continua: “Naturalmente, questa nostra paura deve essere di un tipo molto speciale: 1. Una paura senza paura, poiché esclude qualsiasi paura di coloro che potrebbero deriderci come gatti spaventati. 2. Una paura corroborante, perché dovrebbe spingerci nelle strade invece che negli angoli delle nostre stanze. 3. Una paura amorevole che dovrebbe avere paura del mondo, non solo di ciò che potrebbe accaderci”. Affrontare la paura e attuarla in modo produttivo, prosegue Anders, significherebbe per ognuno di noi, qui e ora, affrontare con la dovuta serietà i pericoli di questi tempi. C’è il rischio di una guerra nucleare ma la gente - assuefatta e distratta nei propri individualismi mentre alcuni leader sembrano volerli condurre nell’abisso di una nuova guerra mondiale - sembra quella de “Il cielo sopra Berlino” e di “Così lontano così vicino” di Wim Wenders, rilanciato in questi giorni nelle sale. Conclude Günther Anders: “Se non agiamo adesso, se non agisco adesso, la probabilità che succeda l’impensabile diventa ogni giorno più grande”. Nonostante i dubbi americani, gli ucraini sostengono che difendere luoghi di scarso valore strategico vale il costo in termini di vittime e armi, perché i russi pagano un prezzo ancora più alto. Lo riporta il New York Times (Nyt) riportando le dichiarazioni di Yurii Sak, ex consigliere del ministro della Difesa: “Ad un certo punto, il simbolico diventa strategico per i soldati”. Difendere i risultati dell’offensiva è “importan te per il morale, è importante per il sostegno della popolazione, è importante per la fiducia interiore nel nostro potenziale di vittoria”. Il combattimento è anche più costoso in termini di perdite per i russi attaccanti che per gli ucraini nelle loro posizioni difensive: “Finché questo calcolo continua, aiuta a mantenere il terreno”, ha detto. ”È guerra, quindi le vittime sono inevitabili da entrambe le parti e stanno costando alla Russia decine di migliaia di soldati uccisi e feriti”. Durante l'addestramento delle truppe ucraine, i soldati hanno notato un vantaggio nel passaggio ad una strategia difensiva: meno vittime. I russi ora devono lasciare le loro trincee per attaccare, mentre gli ucraini combattono al riparo delle loro posizioni. Lapalissiano. Se l’Occidente prende sul serio la possibilità di un grande conflitto mondiale, deve considerare attentamente la sua capacità di condurre una guerra di lunga durata e perseguire una strategia incentrata sul logoramento piuttosto che sulla manovra. Il suggerimento viene dal think tank britannico Rusi (Royal United Services Institute) con sede a Londra. Le guerre di logoramento richiedono una propria “Ar te della Guerra” e sono combattute con un approccio “incentrato sulla forza”, a differenza delle guerre di manovra che sono “focalizzate sul terreno”. Sono radicate in una massiccia capacità industriale per consentire la sostituzione delle perdite, in una profondità geografica per assorbire una serie di sconfitte e in condizioni tecnologiche che impediscono rapidi movimenti del terreno. “L’Occidente non è preparato per questo tipo di guerra. La guerra viene vinta dalle economie, non dagli eserciti. Riconoscere che le guerre di logoramento hanno una loro propria arte è vitale per vincerle senza subire perdite paralizzanti. Gli stati che capiscono questo e combattono una guerra del genere attraverso una strategia di logoramento mirata a esaurire le risorse nemiche preservando le proprie hanno maggiori probabilità di vincere”.

Raffaella Vitulano

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