Turchia, tessile abbigliamento in crisi Ma i grandi marchi prosperano


I massicci terremoti che hanno devastato una vasta area della Turchia sudorientale poco più di un anno fa hanno lasciato i lavoratori della grande industria tessile e dell’abbigliamento della regione vulnerabili a diffuse violazioni dei loro diritti. E’ la denuncia contenuta in un nuovo rapporto della Clean Clothes Campaign, rilanciata da Equal Times. “Ho imparato quale vita è preziosa e quale è inutile durante il terremoto. Le vite dei lavoratori come noi sono assolutamente inutili”, è la triste constatazione di un dipendente del settore ai ricercatori per il rapporto del gennaio 2024, The Impact of the Earthquake on Textile and Garment Workers, pubblicato dalla Clean Clothes Campaign Turkey e basato su 130 interviste in forma anonima con lavoratori del settore tessile e dell’abbigliamento.

I grandi marchi

Pessima anche l’incapacità di noti marchi internazionali di sostenere le loro catene di approvvigionamento globali durante situazioni di disastro e di crisi, secondo l’autore del rapporto Derya Göçer, professore presso la Graduate School of Social Sciences presso l’Universi tà Tecnica del Medio Oriente di Ankara. Nessun buon esempio di buona pratica, dunque, dalle note griffes che assegnano subforniture ad aziende in Turchia. “Disastri come questo amplificano le cattive pratiche e le disuguaglianze già intrinseche in questo settore, dove le rigide scadenze di produzione nel fast fashion mettono sotto pressione anche i datori di lavoro perché potrebbero perdere il contratto di fornitura”, afferma Göçer.“Nel contesto post-disastro, ciò significa che i lavoratori tornano in edifici che non sono adeguatamente ispezionati e devono affrontare scosse di assestamento o crisi di salute mentale”. I terremoti del 6 febbraio 2023 hanno ucciso più di 53.000 persone in 11 province turche e provocato oltre tre milioni di sfollati. Nella vicina Siria, stime recenti indicano il numero di persone uccise tra 5.000 e 8.500, mentre decine di migliaia sono state sfollate. Più della metà dei lavoratori del settore tessile e dell'abbigliamento intervistati dal team di Göçer ha affermato che le loro case erano tra quelle che sono state danneggiate. Sebbene il disastro li abbia costretti a lottare per trovare un rifugio per le loro famiglie e soddisfare i loro bisogni primari, oltre il 50% dei lavoratori intervistati ha affermato di aver preso solo dalle due alle quattro settimane di ferie. Durante il congedo, tre quarti dei lavoratori hanno detto ai ricercatori di aver ricevuto meno del loro stipendio pieno, e più di un terzo ha affermato di non aver ricevuto alcun salario, creando un’intensa pressione finanziaria per tornare rapidamente al lavoro. “Dopo il terremoto, ho messo la mia famiglia in un luogo sicuro e sono tornato a Malatya”, hadetto un lavoratore ai ricercatori. “Sono rimasto nell'azienda per un mese...non c'era nessun posto dove potessi fare una doccia confortevole edormire”. Un anno dopo il disastro, secondo Göçer, molti lavoratoririmangono separati dalle loro famiglie. “I lavoratori rimasti nella zona terremotata nonostante tutti i loro problemi di salute mentale e fisica non riescono a trovare un alloggio; hanno dovuto mandare le loro famiglie nellecittà e nei villaggi dell’Anatolia”, dice. “Da quello che possiamo vedere, non c’è stata alcuna iniziativa solidale da parte di marchi famosi che abbia potuto supportare il bisogno fondamentale di alloggio”. Secondo un sondaggio separato tra i fornitori regionali condotto da Göçer e un collega nel giugno 2023, solo il 4% dei fornitori di prodotti tessili e di abbigliamento nella Turchia sud-orientale è riuscito a riprendere la produzione come di consueto dopo i terremoti. Tuttavia, solo una manciata ha affermato che i marchi da loro forniti hanno offerto qualsiasi supporto all’indomani del disastro. Il 69% degli intervistati ha affermato di non aver ricevuto alcun contatto da acquirenti o marchi. Nello stesso mese, il Bhrrc ha contattato 11 aziende internazionali di abbigliamento che operano nella regione per chiedere informazioni sulle loro pratiche di acquisto in seguito al disastro. Solo sei marchi hanno affermato che stavano adottando misure per proteggere i lavoratori nelle fabbriche dei fornitori e solo uno ha affermato che stava fornendo assistenza finanziaria alle famiglie dei lavoratori uccisi nei terremoti. E le donazioni come quelle promesse da H& M Group e Inditex (la società madre di Zara) a Save the Children, alla Mezzaluna Rossa turca e all'agenzia turca per la gestione delle catastrofi AFAD “non vanno realmente ai lavoratori”, dice Göçer. La Turchia è uno dei principali paesi al mondo per la produzione di abbigliamento e tessili, con 16,2 miliardi di dollari di esportazioni nel 2021, secondo un rapporto del ministero del Commercio turco citato nel rapporto della campagna Clean Clothes, principalmente verso paesi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.

Il rapporto Clean Clothes

I fornitori delle province colpite dal terremoto hanno svolto un ruolo significativo nel settore, producendo beni per importanti acquirenti globali tra cui i soliti Benetton, H& M, Primark e Zara, nonché grandi marchi nazionali come LC Waikiki. Le province colpite dal terremoto rappresentavano il 15% dell’industria tessile e dell’abbigliamento turca, con circa 350 mila lavoratori in circa 2.900 aziende prima del disastro. Nell’anno successivo al terremoto, l’occupa zione nel settore dell’abbiglia mento confezionato è diminuita del 40% e la produzione del 50%, secondo un comunicato stampa inviato a Equal Times dall’Associazione dei produttori di abbigliamento turchi (Tgsd) rilasciato per l’anniversario del terremoto. Poco dopo il disastro, il governo turco ha istituito un divieto temporaneo di licenziamenti in tutta la regione colpita. “Ma quello a cui abbiamo assistito è che le multe non sono abbastanza alte da scoraggiare i fornitori, che trovano altri modi per licenziare i lavoratori”, dice Göçer. I lavoratori hanno detto al suo gruppo di ricerca che subiscono mobbing, concretizzatosi nella pressione a effettuare ore straordinarie, con minaccia di licenziamento in caso di inadempienza. La Turchia si è costantemente classificata tra i dieci paesi peggiori al mondo per i diritti dei lavoratori nel Global Rights Index della Confederazione Internazionale dei Sindacati, con la repressione degli scioperi e la sistematica distruzione dei sindacati elencati tra le violazioni. Con la limitazione sia della libertà di associazione che del diritto di sciopero in Turchia, secondo il rapporto della Clean Clothes Campaign, l’89% dei lavoratori dell’industria tessile e dell’abbigliamen to della regione terremotata non hanno un contratto collettivo. In questo clima, il divieto di licenziamento potrebbe aver effettivamente peggiorato la situazione per alcuni lavoratori, poiché non riceverebbero indennità di fine rapporto o altri benefici se fossero costretti a lasciare il posto di lavoro invece che licenziati ufficialmente. Haluk Deniz Medet, portavoce del sindacato turco dei lavoratori tessili DIsk Tekstil spiega che “c’è una grave contrazione delle esportazioni e i marchi europei, i nostri clienti più importanti, stanno spostando i loro ordini verso i paesi asiatici”.

Questo tipo di opportunismo è fin troppo comune nell’industria globale dell’abbi gliamento e del tessile, spiega ad Equal Times Mayisha Begum, ricercatrice del Business & Human Rights Resource Center: “Quando c’è un calo nei profitti, la soluzione non dovrebbe essere che i fornitori, e poi i lavoratori, siano quelli che vengono schiacciati”. Le interviste con oltre 100 lavoratori mostrano che le fabbriche di abbigliamento e i loro acquirenti hanno lasciato i lavoratori in balia di se stessi dopo il devastante terremoto che ha colpito la Turchia nel febbraio 2023. Poiché la maggior parte di loro non è stata pagata per intero in seguito al terremoto, i lavoratori sono dovuti tornare al lavoro per necessità finanziarie senza avere un posto sicuro dove vivere e prima che le fabbriche in cui lavoravano fossero sottoposte a ispezioni di sicurezza strutturale. Il rapporto si basa su un sondaggio condotto tra agosto e settembre 2023 su 130 lavoratori delle città colpite dal terremoto di Gaziantep, Kahramanmaras, Malatya e Adiyaman. Il rapporto conferma e amplia i risultati di un precedente sondaggio tra i datori di lavoro del settore dell’Università Tecnica di Istanbul in agosto. Il nuovo rapporto fa eco all’ap pello lanciato nel marzo 2023 dalla Clean Clothes Campaign, come parte della coalizione Pay Your Workers, che esorta i marchi che si approvvigionano dalla Turchia a garantire che i lavoratori nelle loro catene di approvvigionamento siano tenuti al sicuro e i loro diritti siano rispettati.

Raffaella Vitulano

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