Big Quit, dimettersi per ricominciare da capo


di Raffaella Vitulano

Punto e a capo. Reinventarsi, ritrovare se stessi, ricominciare, sfidare le proprie capacità dopo l’aberrante periodo di privazioni, incertezze, stress emotivo e regole riscritte dalla pandemia. Lo chiamano “Great Resignation” o “Big Quit”: un significativo e anomalo aumento delle dimissioni sul lavoro. Un fenomeno accentuato dallo scorso aprile, quando si è registrato il primo picco di abbandoni, in coincidenza con l’arrivo dei vaccini e la possibilità di riprendere a vivere, dopo il congelamento dei lockdown. Uno studio McKinsey rivela che il 40% dei lavoratori a livello mondiale è intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi mesi, il nostro Paese - in cui fra aprile e giugno 2021 quasi mezzo milione di persone ha dato le dimissioni - non fa eccezione. Esperti e media parlano di uno scossone sismico, di un contratto sociale in via di riscrittura, grazie al quale il tradizionale equilibrio di potere tra datore di lavoro e lavoratore si sta ora gradualmente orientando verso quest’ultimo. Questo crescente potere del lavoratore spiega in buona parte la mobilitazione sindacale che sta investendo gli Stati Uniti, altro fenomeno emerso dalla pandemia, soprattutto oltreoceano. Negli ultimi mesi, un numero in rapida crescita di americani ha lasciato il lavoro: più di 4,4 milioni solo a settembre. Anche nel Regno Unito la crisi del personale si sta aggravando: a ottobre 2021 un numero considerevole di imprese ha affermato che la mancanza di personale sta compromettendo la loro capacità di operare. Molti lavoratori potrebbero aver semplicemente raggiunto un punto di rottura dopo mesi e mesi di elevati carichi di lavoro e di poca sicurezza sul futuro, arrivando a ripensare i propri obiettivi di lavoro e di vita. Per i datori di lavoro, suggerisce la McKinsey, la prima regola da seguire è che bisogna mettersi in ascolto dei dipendenti e farsi le domande giuste. Se poi si guarda al mondo dei più giovani è in atto una nuova tendenza,quella della Yolo Economy (You only live once),che sta portando i Millennials e parte della Generazione Z ad abbandonare il posto fisso per avviare nuove attività. Il tempo scorre veloce, non c’è tempo da perdere. Siamo in pieno Big Quit. Si sta addensando una polveriera che rischia di far esplodere il turnover e di minare clima, efficacia e motivazione nelle organizzazioni. Aziende e manager si scoprono impotenti. Il quadro è complicato. Complice dell’innesco di questo meccanismo è stata sicuramente la pandemia, ma i prodromi c’erano già, per quanto sopiti, se ben il 36% di chi si è licenziato non aveva ancora in mano un nuovo lavoro. Un vero e proprio salto nel buio, che sta facendo emergere l’impreparazione dei datori di lavoro, che con la quantità di riunioni Zoom online durante la pandemia hanno spinto i dipendenti a lanciarsi, a decidere di troncare. Il tempo, dicevamo. Il coronavirus ne ha accelerato il senso inesorabile, lo ha sfumato all’inverosimi le dilatandolo nella sopravvivenza, lo ha diluito nei fluidi iniettati, ma la gente si sente come se avesse perso due anni di vita. Negli ultimi mesi, un numero in rapida crescita di americani ha lasciato il lavoro: più di 4,4 milioni a settembre (su circa 11 milioni nel mondo), il mese più recente per il quale sono disponibili dati. Gli economisti di Barclays hanno una teoria diversa e smussano le preoccupazioni dei datori di lavoro, considerando il fenomeno solo temporaneo. Piuttosto, il fenomeno sta diventando strutturale col disagio e le proteste di persone che hanno avuto un contraccolpo contro gli abusi delle grandi corporation, che hanno invece moltiplicato i loro ricavi. Molti lavoratori hanno preso coscienza di ipotecare le loro vite per stipendi miseri o per insoddisfazione. Il tempo scorre, altri guadagnano e tu muori. In parte è stata una reazione a questo stato di cose, come spiega il vice capo economista americano di Barclays Jonathan Millar in una lunga analisi: “La vera causa è l’esitazione dei lavoratori a tornare alla forza lavoro, a causa di problemi legate alla pandemia come i rischi di infezione, le malattie legate all’infezione e la mancanza di assistenza all’infanzia a prezzi accessibili”.

Nella Great Resignation i lavoratori scontenti stanno semplicemente lasciando il lavoro a frotte. E chi se ne frega se irrita i responsabili delle politiche presso la Federal Reserve, i cui funzionari hanno affermato che non inizieranno ad aumentare i tassi di interesse fino a quando il mercato del lavoro non si avvicinerà ai livelli pre-pandemia. Vedere una normalizzazione del tasso di partecipazione della forza lavoro farebbe parte di tale equazione. Ma come li trattieni, i dipendenti? Tra i datori di lavoro, c’è chi già offre maggiori garanzie durante la fase di selezione del nuovo personale e, al tempo stesso, ridiscute le condizioni dei dipendenti per non rischiare di perdere risorse umane già formate. Circa la metà di tutte le dimissioni diquest’anno proviene dal tempo libero e dal settore alberghiero e della ristorazione, settori sottoposti a un’intensa pressione e restrizioni.Tuttavia, secondo Data Trek Research, circa un quinto di queste dimissioni proviene anche da servizi professionali e aziendali, compresi quadri e dirigenti. Grazie a diversi assegni per la pandemia, la moratoria degli affitti e la cancellazione dei prestiti studenteschi, molti americani si sono sentiti più liberi di rimettersi in gioco. Smettere di lavorare è un concetto tipicamente associato a perdenti e fannulloni? Di fronte al rischio di morire, rimettersi in gioco non lo è. Qualcuno, azzarda anche altre ipotesi: di fronte agli obblighi vaccinali in azienda, molti americani sarebbero spaventati a morte e preferirebbero tentare altre vie di sussistenza economica. È l’opinione dell’ex senatore repubblicano Richard Black - chiamato Purple Heart durante il suo impegno in Vietnam, - che ha assunto spesso delle posizioni scomode, spendendosi in favore della Siria e contro il terrorismo islamico. I nonni di sua moglie erano di Avellino e lui intravede il rischio che il mondo occidentale si trasformarmi in una società-alveare dove tutto è deciso e regolato da un unico “Parti o”, sulla base del modello cinese: “Molte persone si rifiutano di accettare un lavoro, sapendo che l’amministra zione Biden sta cercando di richiedere alle grandi aziende di imporre un mandato di vaccinazione. Di più, l’amministrazione Biden si sta imbattendo in un ronzio di opposizioni legali agli obblighi sui vaccini. Onestamente, non riesco a distinguere la “ricerca sul guadagno di funzione” ( gain of function) dei vaccini dalla guerra batteriologica. Entrambi sono progettati per produrre agenti patogeni più letali per la popolazione rispetto ai virus presenti in natura. Non ci sono scuse per nessuna nazione che effettui esperimenti così mortali”.

Raffaella Vitulano






McKinsey: i datori di lavoro ascoltino i dipendenti 

Nel passato non così distante, i capi non dovevano preoccuparsi tanto della loro forza lavoro. I nuovi arrivati assorbivano osmoticamente la cultura aziendale. Le famiglie dei lavoratori erano invisibili, non interrompevano costantemente le chiamate Zoom. I dipendenti avevano un lavoro, non una voce. La pandemia ha stravolto tutto. Per la McKinsey, esperta di consulenza aziendale, se gli ultimi 18 mesi ci hanno insegnato qualcosa, è che i dipendenti bramano investimenti negli aspetti umani del lavoro. I dipendenti sono stanchi e molti hanno subìto lutti. Un fatto da non sottovalutare. Vogliono un senso di finalità rinnovato e rivisto nel loro lavoro. Vogliono connessioni sociali e interpersonali con i loro colleghi e manager in termini di maggioreserenità. Vogliono provare un senso di identità condivisa. Sì, voglionoretribuzione, benefici e vantaggi, ma più di questo vogliono sentirsi apprezzati dalle loro organizzazioni e dai loro manager. Vogliono interazioni significative, anche se non necessariamente di persona, non solo transazioni.

Ra.Vi.

L’astuzia di Johnson & Johnson per sottrarsi alle cause legali 

Ci sono innumerevoli americani che soffrono di cancro, o piangono la morte di una persona cara, a causa del talco tossico che Johnson & Johnson ha messo sul mercato. E cosa ha ben pensato la casa farmaceutica dopo che giustamente 38 mila persone persone hanno fatto partire cause legali? Ha trasferito ad una società fittizia, la Ltl, tutte le responsabilità del caso per poi farla fallire, in modo da non dovere più niente a nessuno. Da molti anni la Johnson & Johnson sapeva che il suo borotalco conteneva particelle di amianto, ma ha continuato a venderlo in tutto il mondo. Esiste una legge americana - creata appositamente per le grandi corporations - che permette a queste ultime di aggirare l’obbligo di rispondere dei danni provocati dai propriprodotti e la multinazionale ne ha approfittato. Nel 2018, indagini separate di Reuters e del New York Times hanno rivelato documenti che mostrano che Johnson & Johnson non ha informato le autorità di regolamentazione. La società rimane una delle società più ricche del mondo, con oltre 25 miliardi di dollari di riserve di liquidità, e non ha presentato istanza di fallimento.

Ra.Vi.





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