La provetta di Colin Powell cambiò la storia in Medio Oriente

 di Raffaella Vitulano

Ha perso la sua ultima nemico insidioso, avvinghiatosi agli organi del suo corpo, il Covid, nonostante la doppia vaccinazione. E non potrà fare più nulla ora per farci dimenticare quando il 5 febbraio 2003, da segretario di Stato degli Usa, tenne un discorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in cui parlò delle armi batteriologiche in possesso dell’Iraq, mostrando ai rappresentanti degli altri paesi, con un gesto molto teatrale, una fiala che conteneva una polvere bianca e parlando del “grosso faldone dei servizi segreti sulle armi biologiche dell’Iraq” e di laboratori mobili per la produzione di quelle armi. Il 20 marzo dello stesso anno una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti invade l’Iraq. Molti anni dopo si scoprì che il principale autore di quelle testimonianze sull’antrace, un ingegnere chimico iracheno, aveva mentito inventandosi tutto. Quell’errore ebbe un’eco in tutto il mondo. E’ stata una figura molto controversa, quella di Colin Luther Powell, primo segretario di stato americano nero la cui leadership in diverse amministrazioni repubblicane ha contribuito a plasmare la politica estera americana. Powell era figlio di una sarta e di un caposquadra di spedizione, entrambi immigrati dalla Giamaica, nel distretto dell’abbiglia mento di Manhattan. Nella sua autobiografia del 1995 - My American Journey - aveva scritto: “La mia è la storia di un ragazzo nero senza promesse iniziali da una famiglia di immigrati di mezzi limitati che è cresciuto nel South Bronx”. Colin Powell era molte cose: un americano per antonomasia; un figlio di immigrati; un ottimista incallito che consigliava di non “consultare le proprie paure o chi si oppone” e che “l’ottimi smo perpetuo è un moltiplicatore di forza”.

La carriera militare di Powell inizia da giovanissimo alla fine degli anni ’50, quando decide di arruolarsi nell’esercito, dove rimarrà per 35 anni, distienguendosi in Vietnam. Primo consigliere per la sicurezza nazionale nera durante la fine della presidenza di Ronald Reagan e il più giovane e primo presidente afroamericano dei capi di stato maggiore congiunti sotto il presidente George Bush, s’inca glierà proprio in Medio Oriente, uno dei crucci maggiori nel corso della carriera di Powell, dove si delinea anche la sua linea politica – a parole più che a fatti – per la quale gli viene attribuito il soprannome di reluctant warrior: sosteneva infatti, prima di arrivare alla decisione di un intervento militare, la necessità di tentare ogni possibile misura politica, economica, diplomatica per risolvere la controversia. E’ stata proprio l’esperienza in Vietnam ad aver profondamente influenzato il suo pensiero sull’uso della forza militare. La dottrina che porta il suo nome fissa infatti dei criteri da considerare prima dell’uso della forza. La dottrina di Powell è un appello a usare i militari con attenzione, se proprio necessario. Come i filosofi che hanno promulgato la teoria della guerra giusta, Powell vedeva la guerra come l’ultima risorsa. In che modo l'uso iniziale della forza militare avrebbe cambiato la situazione e che cosa allora? È stata quest’ultima domanda a far scattare il suo riferimento alla cosbattaglia contro un iddetta regola del Pottery Barn: se la infrangi, la possiedi. Ma dall’impossessarsi di una nazione, calpesandone il suolo, Powell capì che la misura di un intervento non è come iniziare ma come finire l’azione.

“Dobbiamo essere preparati a prendere il comando”, una delle prime cose che impara una giovane recluta dell'esercito diventata un principio fondamentale della sua leadership. Assumersi le proprie responsabilità, anche quando si sbaglia. In pochi mesi Saddam viene sconfitto, ma delle presunte armi chimiche nessuna traccia. Non vengono trovati laboratori mobili né gli enormi arsenali di armi di distruzione di massa paventati. Ancora non è chiaro quanto Powell fosse consapevole dell’infondatezza delle prove, ma sicuramente é preda dei falchi guerrafondai. La storia si sa, è maestra di vita. In moltissimi casi il tempo ha rivelato che gli interventi militari sono stati determinati deliberatamente e volontariamente tramite pretesti che permettessero all’opinione pubblica di accettare e legittimare un nuovo impegno militare. Questo tipo di operazioni belliche vengono chiamate False Flag, falsa bandiera. Pretesti, appunto. Powellprobabilmente credette in ciò che disse, cheSaddam fosse in possesso di armi di distruzionedi massa. Ciò non significava necessariamente che Powell fosse favorevole all’andare in guerra, ma che riconoscesse la minaccia come reale e ragionevole l’opzione bellica. Il presidenteGeorge W. Bush, del resto, non promosse mai un vero dibattito nella sua amministrazione sull’opportunità di andare in guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein. Bush non interpellò mai il suo Consiglio per la Sicurezza Nazionale, scrisse Powell nel suo libro nel 2012. Un fatto confermato anche dall’ex capo della Cia, George Tenet, che nel suo libro del 2007 aveva già scritto che “non ci fu mai un serio dibattito all’interno della amministrazione sull’imminenza della minaccia irachena”. Tesi negata nelle sue memorie pubblicate nel 2010 dallo stesso Bush, secondo cui l’invasione dell’Iraq è stato qualcosa che arrivò a sostenere solo con riluttanza, dopo lunghe riflessioni. Powell non risparmiò accuse anche all’allora vice presidente Dick Cheney, rammaricandosi di quella maledetta provetta: “Divento matto quando qualche blogger mi accusa de essere un bugiardo. Di essere al corrente che quelle informazioni (presentate all’Onu) erano false. Io non lo sapevo”. Dopo questo enorme smacco che segna profondamente la sua carriera, Powell decise di rassegnare le dimissioni, e venne sostituito come segretario di Stato da Condoleeza Rice. Da qui in poi, Powell si ritirò a vita privata, dopo che la stessa famiglia gli sconsigliò di candidarsi alla Casa Bianca. Powell non fu dunque il primo presidente nero d’America, deluso dai democratici e dai repubblicani. Invece era, “forse, uno dei migliori americani a non essere mai stato presidente”, ha commentato John Major, l’ex primo ministro britannico. Larry Jacobs, direttore del Center for the Study of Politics and Governance dell’Università del Minnesota, ricorda che “Colin Powell proveniva da un ambiente della classe operaia. E non l’ha mai dimenticato”.

22 ottobre 2021




Un’espressione mutuata in contesti internazionali 

Powell ha visitato la Cina tre volte durante il suo mandato. La Cina “è una nazione che non deve essere vista come un nemico”, disse durante una visita in Cina nel luglio 2001. Oggi i rapporti sono pessimi. Tempo fa il Wall Street Journal pubblicò un articolo di due scienziati nordamericani, il dottor Stephen Quay e il professor Richard Mueller della California University che suggerivano che il Sars-CoV-2 è piuttosto artificiale che naturale, supportando chi vuole attribuire la pandemia alla Cina. L’articolo del Wsj permise a Washington di lanciare un nuovo attacco su Pechino. Qualche malpensante, anche in questo caso, pensa che la Casa Bianca abbia preparato l’ormai famigerata “provetta di Powell” per accusare i cinesi dell’origine artificiale del Covid-19. Tuttavia, la Cina di oggi non è l’Iraq del 2003: sa difendersi e il segretario stampa dell’ambasciata cinese negli Stati Uniti Liu

Pengyu ha tagliato corto sulla questione: “La campagna per politicizzare lo studio delle origini e diffamare la Cina non è diversa dalle bugie sull’Iraq che possedeva armi di distruzione di massa 18 anni fa”.

Ra.Vi.

Russia e Cina scaldano i motori nello stretto di Tsugaru 

La prima pattuglia congiunta di navi da guerra cinesi e russe naviga attraverso lo stretto di Tsugaru in linea con la legge internazionale, “potrebbe includere l'accerchiamento del Giappone o avvicinarsi agli Stati Uniti” precisa il Global Times. La pattuglia congiunta mostra - scrive il giornale di Pechino - un alto livello di fiducia reciproca politica e militare che esiste traCina e Russia in termini di salvaguardia dellapace e della stabilità regionali, in un momento in cui gli Stati Uniti si alleano con i loro alleati come Giappone e Australia e destabilizzano l’Asia-Pacifico.

Al di là della propaganda, un certo rischio s’intravede in queste manovre congiunte. Questa è la prima volta che navi da guerra cinesi e russe sono state viste transitare insieme nello stretto di Tsugaru, afferma il comunicato stampa giapponese. “Lo stretto di Tsugaru non è un'acqua territoriale e le navi da guerra di qualsiasi paese hanno il diritto di transito, il che significa che il transito delle navi cinesi e russe ècompletamente in linea con il diritto internazionale e la pratica comune”, sostiene Zhang Junshe sul giornale.

Ra.Vi.



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