Il meteo come emergenza alimenta il business della difesa

 di Raffaella Vitulano

"Penso che il cambiamento climatico sia una reale opportunità per l’in dustria aerospaziale e della difesa", aveva già sostenuto nel 1999 Lord Drayson, allora ministro di Stato britannico per la scienza e l’innovazione e ministro di Stato per la riforma dell’acquisizione della difesa strategica. Ci aveva visto lungo, il Lord, dato che l’industria delle armi e della sicurezza è esplosa negli ultimi decenni e molte grandi industrie di armi come Lockheed Martin e Airbus hanno spostato la propria attività in modo significativo in tutti i settori della sicurezza, dalla gestione delle frontiere alla sorveglianza interna. Ora l’industria si aspetta che il cambiamento climatico e l’insicurezza che creerà aumentino ulteriormente il business. La parola chiave é proprio “sicurezza”, quella che i cittadini chiedono ogni giorno. E qualcuno ne approfitta. In un rapporto del maggio 2021, Market and markets annunciava profitti in forte espansione per l’industria della sicurezza interna a causa di “condi zioni climatiche dinamiche, calamità naturali in aumento, enfasi del governo sulle politiche di sicurezza”. Avete capito bene. C’è chi ci guadagnerà davvero tanto dal nuovo business del clima. Si prevede che il settore della sicurezza delle frontiere cresca ogni anno del 7% e il settore della sicurezza nazionale in generale del 6% all’an no. Come la maggior parte delle multinazionali, anche le compagnie di armi sono desiderose di promuovere i loro sforzi. Le visioni della sicurezza nazionale non riguardano mai solo le minacce esterne, ma riguardano anche le minacce interne, compresi i principali interessi economici. Il British Security Service Act del 1989, ad esempio, fu esplicito nel conferire al servizio di sicurezza la funzione di “salvaguardare benessere economico” della nazione; l’Us National Security Education Act del 1991 stabilisce analogamente collegamenti diretti tra la sicurezza nazionale e il benessere economico degli Stati Uniti. Il linguaggio e il quadro della sicurezza si sono infiltrati in ogni area della vita politica, economica e sociale, in particolare in relazione alla governance delle risorse naturali fondamentali come l’acqua, il cibo e l’energia. Come per la sicurezza climatica,il linguaggio della sicurezza delle risorse é guidato dalla sensazione che il cambiamento climatico aumenterà la vulnerabilità dell’accesso a risorse critiche e che fornire sicurezza sia quindi fondamentale. L’assunto che il cambiamento climatico porterà al conflitto ècomunque implicito nei documenti di sicurezza nazionale. La revisione del 2014 del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ad esempio, afferma che gli impatti del cambiamento climatico “sono moltiplicatori di minacce che aggraveranno fattori di stress all’estero come la povertà, il degrado ambientale, l’instabilità politica e le tensioni sociali, condizioni che possono favorire l'attività terroristica”. Uno sguardo anche superficiale suggerisce collegamenti: 12 dei 20 paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici stanno attualmente vivendo conflitti armati. E sono anche quelli dotati di maggiori ricchezze e materie prime. Ad analizzare la “militarizzazione” della crisi climatica, e come si caratterizza, è Nick Buxton, ricercatore del Transnational Institute (Tni), nel saggio della scorsa settimana “The dangers of militarising the climate crisis” in cui analizza gli effetti delle politiche di sicurezza sul clima demistificando il dibattito, nell’evi denziare ad esempio gli interessi aziendali che traggono profitto dalle crisi climatiche, l’im patto sui più vulnerabili e proposte alternative. Il cambiamento climatico può esacerbare le tensioni, i conflitti e la violenza esistenti che potrebbero riversarsi o sopraffare altre nazioni. Ciò include l’emergere di nuovi teatri di guerra, come l’Artico, dove lo scioglimento dei ghiacci apre a nuove risorse minerarie e ad una grande lotta per il controllo tra le maggiori potenze. Per lo studio, rendere il cambiamento climatico un problema di sicurezza da affrontare attraverso soluzioni militari apre a pericolose derive. I piani militari per affrontare la crisi climatica, sottolinea l’autore del saggio, si concentrano sulle risposte da dare su impatti già avviati ma non intervengono su ciò che li ha determinati, come le responsabilità delle “multi nazionali e delle nazioni che di più contribuiscono all’emissio ne di gas serra” né suppongono di intervenire sulle “politi che economiche e gli accordi di libero scambio che hanno reso molte persone più vulnerabili” proprio ai cambiamenti legati al clima. Lo studio va dritto al punto: dove fallisce la politica, subentra un’emergenza da gestire in modo militare. Come dimostra l’attuale pandemia in corso. “E’ giunto il momento di espandere i nostri orizzonti politici per includere la geoingegneria, la manipolazione diretta del sistema di feedback climatico della Terra, come una seria alternativa alla regolamentazione inefficace e controversa” annunciava già nel 1998 il documento rivelatore di Jay Michaelson: “Geoingegne ria: un progetto Manhattan per il cambiamento climatico”, ispirandosi proprio alprogetto noto per aver sviluppato la prima bomba atomica. “The dangers of militarising the climate crisis” sottolinea dal canto suo come cinque compagnie di armi con sede anche negli Stati membri dell’Ue (Airbus, Leonardo, PGZ, Rheinmetall e Thales) stiano pianificando il cambiamento climatico. Ad esempio, il comando europeo degli Stati Uniti si sta preparando per un aumento delle spinte geopolitiche e un potenziale conflitto nell’Artico mentre il ghiaccio marino si scioglie, consentendo l’aumento delle trivellazioni petrolifere e delle spedizioni internazionali nella regione. In Medio Oriente, il Comando Centrale degli Stati Uniti ha preso in considerazione la scarsità d’acqua nei suoi futuri piani di campagna. Soft power, insomma. Mentre le agenzie di sicurezza nazionali guidano poi la discussione e stabiliscono l’a genda sulla sicurezza climatica, gruppi di riflessione di politica estera come il Brookings Institute e il Council on Foreign Relations (US), l’International Institute for Strategic Studies e Chatham House (UK), Stockholm International Peace Research Institute, Clingendael (Paesi Bassi), French Institute for International and Strategic Affari, Adelphi (Germania) e l’Australian Strategic Policy Institute fanno lobby sui governi. Resta così evidente che senza cambiamenti di strategia gli impatti del cambiamento climatico rischiano di essere modellati dalle stesse dinamiche che hanno causato la crisi climatica: potere aziendale concentrato e impunità, uno stato di sicurezza sempre più repressivo, aumento della povertà e della disuguaglianza, indebolimento delle forme di democrazia e ideologie politiche che premiano l’avidità, l’individualismo e il consumismo.

27 ottobre 2021




Cronologia delle principali strategie di sicurezza climatica 

2003: Scenario di cambiamento climatico improvviso e le sue implicazioni per la sicurezza nazionale degli Usa. Primo documento commissionato dal Pentagono.

2007: Age of Consequences: le implicazioni sulla sicurezza nazionale del cambiamento climatico globale.

2008: L’Ue segue l'esempio degli Stati Uniti nel dichiarare il cambiamento climatico un “moltiplicatore di minacce” 2008: Il National Intelligence Council identifica il cambiamento climatico come la creazione di un mondo di scarsità e instabilità.

2015: Strategia per la sicurezza nazionale del Regno Unito. Definisce il cambiamento climatico un fattore di instabilità.

2016: Libro bianco sulla politica di sicurezza tedesca e il futuro della Bundeswehr . 2020: Tabella di marcia dell'UE per il cambiamentoclimatico e la difesa. 2021: Promuove il settoredella difesa del Regno Unito come attore chiaveper risolvere i cambiamenti climatici e i rischi per la sicurezza.

2021: Piano d’azione della Nato per il cambiamento climatico e la sicurezza .

Ra.Vi.


Nel 2025 le forze aerospaziali Usa potranno “possedere il clima” 

Il rapporto “Air Force 2025”, promosso già nel 1996 dalla Air University, che fa parte del Comando della Forza Aerea degli Stati Uniti, dichiarava nell’Executive Summary che nel 2025 le forze aerospaziali degli Stati Uniti potranno “possedere il clima”, capitalizzando le tecnologie emergenti e concentrandosi sullo sviluppo delle tecnologie usate nelle applicazioni belliche. Le attuali tendenze demografiche, economiche e ambientali creeranno tensioni globali che forniranno a molti paesi o gruppi la spinta necessaria per trasformare questa capacità di modificazione del clima in una risorsa. Negli Stati Uniti, la modificazione del clima diventerà verosimilmenteuna parte della politica di sicurezza nazionale con applicazioni sia nazionaliche internazionali, magari con l’uso del controllo delle nuvole e delle piogge. Il lavoro “Weather as a Force Multiplier” è invece citato dal Generale Fabio Mini nel suo articolo “Owning the weather: la guerra ambientale globale è già cominciata”, pubblicato sulla rivista Limes, che fa un quadro estremamente ampio e lucido delle nuove strategie di guerra.

Ra.Vi.




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