Oltre il checkpoint. Storie dai Territori occupati

 di Raffaella Vitulano


Quando Malek Ghanam, lavoratore edile di 29 anni, ha mostrato sintomi di Covid- 19, il suo datore di lavoro ha chiamato la polizia che lo ha scaricato a un checkpoint senza nessun coordinamento con le istituzioni sanitarie dell’Autori tà Palestinese. Ma questa non è l’unica storia di lavoro che ci giunge dai Territori occupati. Ci sono anche quelle di discriminazione in tempi di Covid. Quarantuno lavoratori dell’allevamen to di polli nell’insediamento della zona industriale di Atarot, vicino a Gerusalemme, sono stati contagiati da un collega israeliano che aveva l’autorizzazio ne a lasciare la fabbrica quotidianamente, mentre i colleghi palestinesi erano costretti a rimanere all’interno. Maher, 31 anni, padre di tre figli nel villaggio di Zeita, nella parte nord della Cisgiordania, lavora alla Sohal Industries Ltd, una fabbrica di prodotti metallici nella zona industriale dell’insediamento di Ariel. Maher lavora tra le 11 e le 12 ore al giorno, sei giorni alla settimana. Ha un contratto e si considera fortunato. Nonostante le condizioni molto dure del lavoro e la professionalità richiesta per gestire i macchinari, Maher e tutti i lavoratori della fabbrica ricevono il salario minimo. E ancora. Quando i lavoratori di G. Regev Yezum 2000 (2004) Ltd, impresa di lavori edili e sviluppo di infrastrutture che porta avanti un lavoro nell’insediamento illegale di Barkan, nel nord della Cisgiordania, hanno richiesto buste paga mensili dettagliate, indumenti protettivi e salario, sono stati costretti a rinunciare ai loro diritti o a perdere il permesso di lavoro. Mohammed, un 23enne che ha lavorato per la compagnia per due anni e che è pagato 59,22 dollari al giorno per 8 ore di lavoro, spiega come non ha avuto alternative, se non quella di sottoscrivere un accordo ingiusto. Le storie sono state raccolte dalla Confederazione internazionale dei sindacati in un Report, nel quale si sottolinea che nel 2014 la Banca Mondiale calcolò che l’occupazione dell’Area C, la restrizione dei movimenti e del commercio, causava una perdita del 35% del prodotto interno lordo palestinese, qualcosa come 3,4 miliardi di dollari e che se cessasse l’occupazione dell’area C i posti di lavoro potrebbero aumentare del 35%. Ad oggi sono circa 23.000 i Palestinesi che lavorano negli insediamenti illegali in imprese agricole e industrie. Gli attacchi aerei israeliani su Gaza hanno ucciso in questi giorni decine di persone, tra cui molti bambini ed arrivano dopo giorni di violenza, in particolare a Gerusalemme, dove centinaia di palestinesi sono stati feriti in manifestazioni contro gli sgomberi forzati di famiglie palestinesi da parte delle autorità israeliane, in modo che le loro case possano essere consegnate agli israeliani. Gli sfratti previsti, se attuati, costituirebbero una grave violazione degli obblighi di Israele secondo il diritto internazionale.

La situazione nei Territori è esplosiva. Tutti gli insediamenti israeliani sono illegali secondo il diritto internazionale. ”Que sta è una storia di occupazione e di sfruttamento. La comunitàinternazionale non può più ignorare gli accordi disumanizzanti che i lavoratori devono accettare” scrivono i sindacati internazionali. ”Il sistema dei permessi gestiti da intermediari che controllano l’accesso al lavoro e costringono i lavoratori a pagare per il diritto al lavoro, è scandaloso e deve essere abolito”. I requisiti per concedere un permesso di lavoro sono segreti, ma criteri aggiuntivi includono quello di essere sposati e avere più di 22 anni per chi cerca lavoro in Israele, più di 18 per lavorare negli insediamenti e più di 22 per lavorare in aree industriali della “Seam Zone” . Queste regole, a cui si aggiunge la drastica mancanza di lavoro all’interno dell’economia della Cisgiordania, hanno contribuito all’emergenza del fenomeno del “matrimonio per permesso”. La compravendita di permessi è illegale per la legge israeliana e palestinese. Tuttavia si è sviluppato un mercato nero. Nel 2018, il 45% dei lavoratori palestinesi ha ottenuto il proprio permesso attraverso i mediatori, fatto che ha generato un profitto di almeno 119 milioni di dollari. I permessi sono concessi fino a sei mesi di durata, ma possono essere arbitrariamente annullati in qualsiasi momento dal datore di lavoro o dai Servizi di Sicurezza Israeliani. I datori di lavoro usano la minaccia di annullare il permesso per disciplinare i lavoratori che si iscrivono al sindacato.

Khalil è di Tulkarem, ha 25 anni e da più di due lavora come idraulico ad Harish nel nord di Israele per la Shapir Engeneering and Industry alla costruzione di appartamenti residenziali. Khalil ha una laurea in ingegneria gestionale. Con un artifizio sui costi del permesso,il suo capo gli trattiene 739,07 dollari dal salario mensile. A Khalil restano meno di 1.000 dollari al mese. Una volta superato il checkpoint in Israele, il percorso fino al posto di lavoro è costoso. Secondo la legge israeliana e secondo il contratto collettivo dell’edilizia, il datore di lavoro è tenuto a provvedere al trasporto del lavoratore dal checkpoint al luogo di lavoro, oppure a rimborsare le spese di trasporto. Ma la maggior parte delle volte non lo fa. La Banca Mondiale stima che il 30% delle famiglie della Cisgiordania vivrà in povertà, una percentuale stimata al 14% prima della pandemia. I dati ci parlano di una realtà ancora più dura per le famiglie di Gaza, dove si prevede che le famiglie che vivono in povertà, passeranno dal 53% al 64%. Yussif, 43 anni, otto figli e un lavoro da operaio edile a Qalqilya, ha un permesso ottenuto senza mediatore e porta a casa in media 1.478,60 dollari al mese. Secondo l’accordo del contratto collettivo fra Histadrut e Confedilizia Israeliana, Yussif dovrebbe ricevere mensilmente 1.656,03 dollari, una busta paga scritta, le spese di viaggio, i pagamenti per malattia e ferie annuali, più altri diritti. Ma le condizioni di lavoro di Yussef riflettono una realtà del tutto diversa.

26.5.2021

Turismo palestinese, dal 1966 crollo dal 13% allo 0,6% del pil 

Oltre 4 milioni di turisti sono entrati in Israele nel 2018, generando entrate per 6,51 miliardi di dollari. Secondo un sondaggio del 2018 sul turismo in entrata condotto dal Ministero del Turismo israeliano, il 24,3% dei turisti ha indicato il pellegrinaggio come scopo principale della propria visita. Ciò suggerisce che i Territori occupati (TPo), con Gerusalemme Est e Betlemme in particolare, sono destinazioni privilegiate. Riconoscendo le enormi opportunità finanziarie dei TPo, Israele mette in atto una duplice strategia: forti investimenti nelle imprese turistiche israeliane oltre la Green Line e limitazioni all’atti vità e allo sviluppo dell’industria del turismo palestinese. Airbnb, Booking.com e TripAdvisor offrono proprietà in affitto in vari insediamenti illegali in Cisgiordania e Gerusalemme Est a spese del settore turistico palestinese.

Così, mentre il settore del turismo palestinese rappresentava circa il 13% del PIL nel 1966, nel 2010 contribuiva solo allo 0,6% e nel 2019 impiegava solo il 5% della forza lavoro.

Ra.Vi.

Il mercato nero dei permessi di lavoro 

Nei territori si fa sempre più strada il ‘mercato nero’ dei permessi di lavoro. Molte imprese israeliane a cui vengono assegnati i permessi li vendono a lavoratori oppure a intermediari palestinesi, che a loro volta li rivendono ai lavoratori che cercano disperatamente un impiego, ovviamente lucrandoci . La dipendenza dei lavoratori palestinesi dal sistema dei permessi li espone allo sfruttamento da parte degli imprenditori e ai ricatti degli apparati di sicurezza. La compravendita dei permessi è molto diffusa: 42.501 lavoratori con permesso (corrispondenti al 45% dei complessivi 94.254) accedono al lavoro tramite gli intermediari. Questo genera profitti enormi: in tutto 119 milioni didollari nel 2018, in media 242,94 dollari per ogni permesso venduto. Il sistema della compravendita dei permessi prevale in tutti i settori ma la maggioranza (75,7%) riguarda i 32.155 lavoratori edili. I permessi mensili costano ai lavoratori tra 591,27 e 793,9 dollari e questo impedisce loro di avere un salario adeguato anche quando percepiscono la paga oraria minima come da contratto.

Ra.Vi.


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