La distruzione creatrice come motore del cambiamento

 di Raffaella Vitulano

Il futuro delle politiche economiche e dell’occupazione sarà nell’apoteosi della ”distruzione creativa”, un processo in cui, a fronte di imprese in fallimento, occorrerà consentire a posti di lavoro e risorse di fluire da imprese senza successo a quelle più adatte alla nuova economia. Distruggere per rinascere altrove. Una filosofia dell’Araba fenice, insomma, a cui con ogni probabilità si ispirerà il nascente governo Draghi. Con buone possibilità non assisteremo però ad una politica espansiva in opposizione a quella austeritaria di Monti, almeno a leggere il recentissimo rapporto sulle politiche post- Covid redatto dal G30 - un think tank, fondato su iniziativa della Rockfeller Foundation nel 1978 - presieduto proprio da Draghi insieme a Raghuram Rajan, ex governatore della banca centrale indiana. In pratica i governi non dovrebbero sprecare soldi per sostenere le aziende ”zombie” destinate al fallimento ma lasciare tali aziende al loro destino favorendo lo spostamento dei lavoratori verso le imprese virtuose che continueranno a essere redditizie dopo la crisi. La tesi di fondo è che il mercato debba essere lasciato libero di agire e che i governi dovrebbero limitarsi a intervenire solo in presenza di conclamati ”falli - menti del mercato”. Nel documento del G30 ci si concentra anche sul mercato del lavoro, scrivendo che ”i governi dovrebbero incoraggiare aggiustamenti nel mercato del lavoro in cui alcuni lavoratori dovranno cambiare azienda o settore, con appropriati percorsi di riqualificazione e assistenza economica”. Il messaggio è chiaro: i governi non dovrebbero cercare di impedire le espulsioni di forza-lavoro dalle aziende destinate al fallimento, come in Italia e in diversi altri paesi si è tentato finora di fare, in parte, con il blocco dei licenziamenti e il largo ricorso alla cassa integrazione. La distruzione creativa (schöpferische Zerstörung), anche nota come burrasca di Joseph Schumpeter, è un concetto delle scienze economiche che descrive il processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova. Altro che Keynes. E se oggi le piccole attività rischiano la chiusura, mentre le grandi multinazionali macinano profitti da capogiro, è unicamente una conseguenza del fatto che come società ci siamo dati un principio organizzativo che privilegia le grandi imprese private rispetto alle piccole attività. Ma resta una scelta politica. L’attuale crisidi solvibilità differisce nettamente dalla crisifinanziaria globale, che era incentrata sul sistema finanziario e sui problemi di liquidità. Alcune delle risposte di quella crisi precedente sono valide ancora, ma il documento anticipa ”scelte difficili” e ” spesso impopolari” che la maggior parte dei governi dovrà imporsi: collaborazioni pubblico-privato; molte aziende dovranno aumentare il capitale e limitare l’indebitamen to; modifica delle leggi fallimentari o introduzione di nuovi schemi di ristrutturazione per imprese che altrimenti fallirebbero.


Via libera al mercato, ma i governi intervengano sui costi sociali 

Le risorse non dovrebbero essere sprecate per aziende che sono destinate al fallimento o che non ne hanno bisogno” spiega un passaggio del documento, puntando sull’a dattamento alla nuova realtà, invece di cercare di preservare lo status quo. I governi dovrebbero quindi incoraggiare le trasformazioni necessarie o auspicabili e gli aggiustamenti nell’occupazio - ne. ”Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creatrice - è un passaggio chiave poiché alcune aziende chiudono e ne aprono di nuove, e alcuni lavoratori hanno bisogno di spostarsi tra aziende e settori, attraverso un’adeguata assistenza e riqualificazione”. Le forze di mercato ”dovrebbero generalmente essere autorizzate a operare, ma i governi dovrebbero intervenire per affrontare i fallimenti del mercato che creano costi sociali sostanziali”.

In altre parole, occorrerà ”sfruttare l’esperienza del settore privato perottimizzare l’allocazione delle risorse.”Quindi, via libera al mercato.

Poi, in caso di crisi aziendali, sarà lo Stato a dovere intervenire. Escludendo le aziende zombie.

Ra.Vi.


Si punti sulle pmi piuttosto che sulle grandi imprese 

Tra le priorità individuate dal documento, ”la salvaguardia dei posti di lavoro e degli asset nelle pmi piuttosto che nelle grandi imprese”, nonché l’importanza di obiettivi strategici più ampi quali ”la protezione di settori strategici” o ” l’inco raggiamento a rendere l’economia più verde e sostenibile, e al bilanciamento della distribuzione degli oneri tra i vari stakeholders”. Il G30 spinge per identificare, per le diverse tipologie di aziende, se si manifestano fallimenti del mercato sufficientemente significativi da richiedere un intervento pubblico e gli ostacoli alla risoluzione degli stessi nel settore privato. Inoltre, occorreràidentificare in che misura i costi delle difficoltà finanziarie e i costi sociali dei fallimenti delle imprese siano sostanziali: ”I governi sono solitamente meno capaci di scegliere vincitori e vinti e di strutturare iniezioni di finanziamenti che allineano adeguatamente gli incentivi. Quando si combinano competenze e risorse del settore pubblico e privato, spesso la soluzione ottimale sarà fornire incentivi statali per incoraggiare o incanalare gli investimenti del settore privato.......”.

Ra.Vi.






10.2.2021

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