“La Cina non è il vero pericolo. Quello è molto più vicino a noi”

 di Raffaella Vitulano

Conquiste ha avuto l’onore di intervistarlo sotto presidenza Clinton. Era il suo Segretario del lavoro, di passaggio da Roma, e ricordo già che i suoi ragionamenti da economista erano assolutamente fuori dagli schemi. La stagione era questa, ci ricevette in bermuda e sandali nella hall dell’Aldrovandi in una Roma afosissima. Oggi ritroviamo quella sua originalità nelle rassegne stampa straniere quando ammette senza esitazioni, parlando del sistema americano: ”Possiamo incolpare la Cina, l’India, il Giappone quanto vogliamo per i nostri problemi commerciali e manifatturieri, ma la vera colpa dovrebbe essere data alle nostre aziende americane e ai loro leader che, evidentemente, si preoccupano meno del Paese e dei suoi lavoratori rispetto all'onnipotente dollaro. E questo per non parlare dei nostri politici, che sembrano lavorare per le grandi imprese, non delle persone il cui lavoro è perso per sempre”. E’ rimasto un vero democratico, Mr. Robert Reich. Ed è un piacere leggere che dopo decenni la classe lavoratrice resta nei suoi pensieri. Quando fa riferimento ai due senatori degli Stati Uniti del West Virginia, Joe Manchin e Shelley Moore Capito, non ha peli sulla lingua nel dire che non hanno fatto nulla per la chiusura dello stabilimento di Chestnut Ridge. I governi che si sono succeduti hanno chiuso le fabbriche per pagare le fusioni, lasciando che i lavoratori facessero le spese di una carneficina economica che ha ucciso la produzione americana, svuotato le piccole città d’America, distruggendo le loro economie. Chestnut Ridge è la storia dell’econo mia americana. La sua chiusura rappresenta il saccheggio della classe media e dell’America.

E’una vecchia storia. È una storia che i politici,da Donald Trump a Joe Biden, hanno giurato di riscrivere. Nessuno ci è riuscito, finora. Inutile incolpare altri per questo. Per Robert Reich, insomma, il più grande pericolo d’America non è la Cina; é molto più vicino a casa. Oggi Reich è Professore Ordinario di Politica Pubblica presso l’Universi tà della California a Berkeley e Senior Fellow presso il Blum Center for Developing Economies. Time Magazine lo ha nominato uno dei dieci segretari di gabinetto più efficaci del ventesimo secolo. Su Eurasia Rewiew spiega in maniera originale gli umori di fondo che innervano la conflittualità Usa – Cina e che hanno avuto come effetto la demonizzazione della Terra di Mezzo presso l’opinione pubblica occidentale. Per far capire quanto sta accadendo, Reich ricorre alla storia, un capitolo di storia e rivalità geopolitica ignota ai più, ma non per questo poco importante. “Quan do l’Unione Sovietica iniziò ad implodere, l’America individuò il suo ostacolo successivo nel Giappone. Le auto di fabbricazione giapponese stavano sottraendo quote di mercato alle sue tre grandi case automobilistiche. Nel frattempo, Mitsubishi aveva acquisito una partecipazione sostanziale nel Rockefeller Center, Sony aveva acquistato la Columbia Pictures e Nintendo aveva preso in considerazione l’idea di acquistare i SeattleMariners”. “Tra la fine degli anni ’80 e l’iniziodegli anni ’90, il Congresso tenne numerose sedute sul tema della ‘sfi da’ giapponese alla competitività americana e sulla ‘minac cia’ giapponese ai posti di lavoro americani”. Negli stessi anni una marea di libri hanno iniziato a demonizzare il Giappone. ”Non c’era nessun complotto. All’epoca non ci siamo accorti che il Giappone aveva investito molto nella propria istruzione e infrastruttura, il che gli ha permesso di realizzare prodotti di alta qualità che i consumatori americani volevano acquistare. Non abbiamo visto che il nostro sistema finanziarioassomigliava a un casinò e richiedeva profittiimmediati. Abbiamo trascurato che il nostro sistema educativo ha lasciato quasi l’80% dei nostri giovani incapaci di comprendere una rivista di notizie e molti altri impreparati al lavoro. E le nostre infrastrutture piene di ponti pericolosi e strade piene di buche stava prosciugando la nostra produttività”. Il parallelo è con la Cina di oggi, dove le società e gli investitori americani stanno silenziosamente gestendo fabbriche a bassi salari, vendendole tecnologia. Senza parlare del fatto che banche americane e venture capitalist sono impegnati a sottoscrivere accordi in Cina. ”Non voglio minimizzare la sfida che la Cina rappresenta per gli Stati Uniti. Ma nel corso della storia americana del dopoguerra è stato più facile incolpare gli altri che incolpare noi stessi”. In realtà, scrive Reich, il Giappone non aveva alcuna mira riguardo gli Stati Uniti, aveva semplicemente investito nella formazione, nelle infrastrutture e nello sviluppo, cosa che l’A merica non aveva fatto. Punto. Il rischio di incoraggiare una nuova paranoia potrebbe tuttavia distorcere ulteriormente le priorità del paese, ponendo le basi per un ulteriore aumento delle “spese militari a detrimento degli investimenti pubblici in favore dell’istruzione, delle infrastrutture e della ricerca, da cui dipendono la prosperità e la sicurezza dell’America del futuro”.

7 luglio 2021

Afghanistan punto di equilibrio per il controllo su Pechino 

Nessuno è convinto che regnerà la pace a Kabul dopo l’11 settembre prossimo, quando le truppe Nato lasceranno definitivamente il Paese in un ambiente più pericoloso di quanto già fosse nel 2002. Biden tuttavia ha capito che, se vuole tenere la Cina sotto scacco e controllare l’In do-Pacifico, non può cedere il controllo dell’Af ghanistan. Vas Shenoy, ricercatore sulle relazioni Europa-India, spiega che i talebani si sono evoluti dal 2001, e oggi sono più sofisticati anche grazie a una rete di relazioni internazionali con la Cina, la Russia e il Qatar. Per i talebani i rapporti diretti con la Cina servono. E viceversa. Anche se la Cina ha sempre protestato per la presenza americana in Afghanistan, la loro presenza è sempre stata un grande sollievo per Xi Jinping. Ora, con il ritiro americano, i cinesi devono trovare i loro equilibri con i nuovi poteri estremisti e non possono dipendere tanto dal Pakistan. La Cina ha inoltre investito in un collegamento con le varie provincie afghane, al fine di sfruttare le ricchezze minerarie sotto la Via della Seta e il Corridoio del Wakan.

Ra.Vi.

Watts: gli Stati Uniti eredi politici della Roma antica 

Il professor Edward J. Watts, che lavora presso l’Università di San Diego in California, in un articolo sul quotidiano Times intravede somiglianze tra la crisi della Repubblica Romana e gli attuali Usa. George Washington e i Padri Fondatori si ispirarono alle repubblica romana pur di gettare le basi per una federazione di stati situata lungo le coste americane. Watts non ha dubbi: "Non solo la repubblica americana è figlia di Roma ma, come la Roma del primo secolo, è ora un vecchio paese i cui cittadini non conoscono altra forma di governo”. Il docente di storia sottolinea che una “repubblica anziana” come quella romana poteva facilmente superare una crisi politica poiché i propri cittadini erano fedeli a tali ideali di libertà. ”L’antica storia romana offre una lezione agghiacciante agli americani moderni. Le robuste difese si erodonolentamente se non vengono rinforzate regolarmente. Questa degenerazione  spesso inizia con qualcosa come un picco nella disuguaglianza della ricchezza che, se non affrontata, alla fine frustra i cittadini e gli elettori”.

Ra.Vi.


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