Miseria e nobiltà. L’Aston Martin alimentata da vino e formaggio

 di Raffaella Vitulano

Al vertice del G20 dello scorso weekend a Roma, il principe Carlo ha apprezzato che le principali aziende del settore della moda abbiano adottato l’Id digitale all’interno dei loro capi, che aiuterebbe i consumatori a conoscerne la provenienza e a prendere decisioni informate. Lo sfruttamento della manodopera, del resto, é presente nel settore del tessile abbigliamento, come in altri. Soprattutto in Bangladesh, dove i diritti dei lavoratori si stanno deteriorando. Secondo Shipbreaking Platform, sette lavoratori hanno perso la vita durante le operazioni di demolizione delle navi nel trimestre più mortale in termini di incidenti nella storia del settore nel Paese. Anche il settore della conceria delle pelli é particolarmente colpito da sfruttamento. In Bangladesh, 35mila lavoratori muoiono ogni anno sul posto di lavoro e più di 8 milioni rimangono feriti. Storie di miseria. Fa effetto dunque volgere lo sguardo verso Glasgow, dove il principe Carlo, una volta liquidato come un eccentrico chiacchierone, porterebbe la sua buona fede ambientale alla Cop26. “A differenza degli altri - scrive il Washington Post -, Charles non ha alcun potere reale sulle leggi o sui bilanci. Ma il 72enne reale dalle guance rubiconde nei gessati immacolati è una voce potenzialmente potente sui cambiamenti climatici. Con uno stile di vita inimmaginabile se non per i miliardari del pianeta, è un potente influencer con una portata globale e il suo regno - il Regno Unito e le 54 nazioni del Commonwealth - comprende 2,4 miliardi di persone”. Prince Charles, insomma, è un influencer climatico, meglio della Greta bla-bla-bla. Un esaltatore dei benefici delle api, della medicina omeopatica, del giardinaggio, della conservazione degli elefanti e delle siepi. Charles vede una 'geometria sacra' all’opera nello schema dei petali dei fiori, nel movimento di Venere nel cielo notturno e nelle vetrate della cattedrale di Chartres. Nel suo libro del 2010 'Harmony', denigra come l’Età della Convenienza abbia prodotto l’Età della Disconnessione. Il principe, del resto, parla anche con le piante. L’anno scorso - riporta ancora il quotidiano - i suoi cortigiani hanno confermato che spesso dà a un colpetto amichevole ad un ramo di un albero 'per augurargli ogni bene'.

Il Principe di Galles, che ha fondato la Fashion Taskforce, tra i cui firmatari ci sono griffes del calibro di Giorgio Armani, Mulberry, Chloe e Johnstons di Elgin, punta su princìpi condivisi di trasparenza, responsabilità e rinforzo. Ricordiamo che Charles lo scorso anno ha perfino collaborato con Yoox Net-a-Porter su una nuova collezione di abbigliamento sostenibile. Anche lui, come altri governanti, crede nella partnership tra governo, imprese e finanza del settore privato. Ma questo è rischioso perché rischia di trasferire ulteriori risorse dal pubblico al privato, indebolendo ulteriormente il primo. Il principe immagina di sbloccare piuttosto le risorse del privato in un quadro di incentivi e regolamentazione definito dal pubblico. Ma i confini sono labili. Anche le parole pronunciate dal Presidente degli Stati Uniti Biden nella conferenza stampa finale del G20 sembrano lasciar spazio a possibili interpretazioni: “Ora che abbiamo visto quanto vulnerabili possono essere queste linee del commercio globale, non possiamo tornare al ‘business as usual'”. Le parole di Joe Biden sulle strozzature nella catena di fornitura con spinte inflazionistiche più dovute ad eventi speculativi o strategie economiche messe in atto dai paesi produttori, accusano di responsabilità soprattutto i paesi produttori come Russia (per l’energia) e Cina (per tutto il resto). Quando i leader occidentali pubblicizzano i loro sforzi per limitare il riscaldamento globale facendo pressioni sui paesi in via di sviluppo affinché si impegnino a raggiungere obiettivi più grandi, in effetti passano loro la palla della responsabilità dell’azione per il clima. I paesi sviluppati hanno utilizzato i combustibili fossili per decenni per godere dei benefici di elevati standard di vita, contribuendo a emissioni storiche molto più elevate rispetto ai paesi in via di sviluppo che sono riluttanti a smettere di usare la loro quota di combustibili fossili per rinunciare agli interessi della loro popolazione povera. In quest’ottica va letta la messa in stato di accusa della Cina da parte degli Usa, sostiene l’ex vicesegretario dell’Onu Pino Arlacchi. Una accusa miope in quanto non considera un quadro temporale corretto: “Oggi la Cina è il principale inquinatore del mondo, è vero, ma perché è la prima potenza industriale del mondo. Basta allargare l’asticella anche a soli 20 anni e si vede chiaramente come la Cina esca del tutto e siano gli Usa e i paesi europei di gran lunga i principali responsabili dell'inquinamento globale”.

E qui vengono al pettine tutti i nodi delle devastanti e sbagliate politiche economiche perseguite negli anni dal mondo occidentale. Biden di fatto sta chiedendo di tornare a gestire la produzione interna per evitare fenomeni inflazionistici, che nella struttura cronicamente depressa delle nostre economie, sarebbero devastanti e porterebbero alla rottura del sistema euro. Ma allora servirebbero le giuste politiche fiscali espansive finalizzate agli investimenti e all’occu pazione. E questo vale anche per la Ue. Il principe Carlo ha parlato dei suoi sforzi personali per combattere la crisi climatica, che includono il pompaggio di sottoprodotti di vino e formaggio nella sua auto sportiva Aston Martin e l’installa zione di pannelli solari nella sua residenza reale, Clarence House. Capiamo bene che un combustibile a vino e formaggio possa permetterselo lui ma non la massa, non il suo popolo. Forse è più pragmatico quando, in materia di stile, Sua Altezza Reale il Principe di Galles sostiene di essere “passato dall’essere l’uomo meglio vestito all’uomo peggio vestito” a causa del suo procedere “come un orologio fermo”. Il suo tempo, sostiene, arriva ogni 25 anni. Ecco, non sapremmo dire se questo, in termini di futuro, sia esattamente ciò di cui il pianeta ha bisogno. Una cosa é certa: dopo il G20, Glasgow e il ripensamento di Biden sulla globalizzazione, al popolo non restano che le brioches.

5 novembre 2021




I Rockefeller principali sponsor della rivoluzione green 

La finanza sia costretta a fare la sua parte sul cambiamento climatico. Spingono in tal senso Finance Watch e The Sunrise Project, con una lettera lettera aperta in cui si chiedono requisiti specifici all’interno della regolamentazione prudenziale e per ogni euro che finanzia progetti basati su fonti energetiche fossili, le banche e le compagnie assicurative garantiscano un euro di fondi propri per perdite a tutela di rischi futuri. La campagna arriva all'indomani della notizia che il fondo pensionistico olandese Abp, il principale dei Paesi Bassi, ha annunciato la chiusura degli investimenti in produttori di combustibile fossile. Lo stop riguarda le compagnie petrolifere e del gas. il Nyt cita le parole di Justin Guay, direttore della strategia globale del Sunrise Project: arresto immediato all’espansione di carbone, petrolio e gas. Non il prossimo anno o il prossimo decennio. “Proprio adesso”.

Il Sunrise Project non è un ente qualsiasi, datoche è finanziato dalla Rockefeller Family Fund, la cui famiglia si è distinta come la principale sponsor della rivoluzione green, dopo aver fatto fortuna con la Standard Oil, che gli ha procurato immani ricchezze finanziarie.

Ra.Vi.


Partnership dei finanziamenti tra pubblico e privato 

La Cop26 di Glasgow “tira una riga” sulla finanzaper il clima, perché segna la presa di coscienzache “i finanziamenti dei governi devono servireda moltiplicatore dei finanziamenti privati”. In piena linea con le indicazione del WorldEconomic Forum di Davos sulle partnership pubblico-privato, lo ha chiesto alla Cop26 l’inviato dell’Onu su clima e finanza, Mark Carney, ex governatore della Banca d'Inghilterra. In assoluta sintonia Rishi Sunak, cancelliere delloScacchiere di Boris Johnson, evidenziando l’esempio britannico nel giorno in cui il suo governo ha formalizzato i dettagli di un piano per spingere le grandi imprese e istituzioni finanziarie della City di Londra a “decarbonizzarsi”. L’impegno del settore privato, accanto al pubblico, sembra vitale nella sfida ai cambiamenti climatici: sia in termini di risorse da investire nei progetti economici, sia sotto il profilo dello sforzo che le aziende devono fare per smettere di contribuire alle emissioni di carbonio.Netto il principe Carlo: “Abbiamo bisogno di una vasta campagna in stile militare per guidare la forza del settore privato globale dotato di un budget di gran lunga superiore al pil dei governi mondiali.”

Ra.Vi.


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