Cibo a domicilio gourmet. La raccolta dei dati è servita

 di Raffaella Vitulano


Nei giorni scorsi Yemeksepeti, la più importante piattaforma online turca di food delivery, è stata colpita da un attacco informatico nel quale sono stati trafugati i dati personali di oltre 21 milioni di utenti. La società é specializzata nella consegna a domicilio ed opera attualmente in 70 città in Turchia e Cipro, con oltre 35.000 ristoranti affiliati, circa 21 milioni di utenti e 520.000 ordini giornalieri. Cifre di tutto rispetto, insomma, che farebbero gola a chiunque. Una campagna di phishing ha intanto colpito i rider di Uber Eats per hackerare il loro profilo. Mesi fa era stato invece DoorDash, popolare servizio statunitense di food delivery, ad essere stato oggetto di una massiccia violazione dei dati che ha coinvolto quasi 5 milioni di utenti della piattaforma. Gli hacker puntano ai dati dei clienti delle app di delivery food, che più o meno inconsapevolmente rilasciano dati personali e informazioni su movimenti e preferenze alimentari ogni volta che ordinano a domicilio. Una vera e propria miniera d’oro. Una inchiesta di Fortune Italia ha da tempo sollevato il velo del furto di dati sulle app di cibo, ma la tutela dei dati personali è ancora questione dibattuta. Furono i rider di Deliverance Milano a scrivere un post su Facebook per denunciare l’uso dei dati delleaziende per cui lavorano. Rivolgendosi ai clienti i rider scrissero: “Sappiamo tutto di voi. Sappiamocosa mangiate, dove abitate e che abitudini avete. E come lo sappiamo noi, lo sanno anche le aziende del delivery. Queste piattaforme come sfruttano noi lavoratori senza farsi alcuno scrupolo, sfruttano anche voi, speculando e vendendo i vostri dati”. Chester Wisniewski, responsabile dell’area ricerca scientifica di Sophos (società di sicurezza informatica), boccia un operato che a volte sfiora la leggerezza: “Non curarsi neppure di validare la tua email è una pratica terribile spiega a Wired”, aggiungendo che perlopiù i delivery si affidano al solo numero di cellulare perché crea meno problemi ed è semplice da usare. ”Ma è anche più semplice da violare”. In questo caso il cliente accetta a volte con superficialità di condividere la rubrica: ma perché mai una app per ordinare cibo a domicilio dovrebbe avere accesso alla rubrica del telefono? O all’archivio sul cloud? Eppure, come hanno rilevato i ricercatori consultati da Wired, le piattaforme si prendono più licenze del dovuto sugli smartphone dei clienti. E’ questo il lato oscuro della gig economy: si produce valore in tutti i modi possibili, dal servizio di vendita del prodotto al trasporto a domicilio delle merci, fino alla mappatura dei dati, alla loro analisi e alla loro compravendita. Le app di delivery food, dunque, fagociterebbero - è il caso di dirlo - dati, provvigioni e iscrizioni a una velocità spaventosa. Uno dei dati più interessanti è proprio quello sulla posizione del cliente: accedendo alla posizione del cliente nel preciso momento dell’ordine, le app riescono a mapparele abitudini di consumo sulla loro base geografica. Questo è un dato rarissimo e altrettanto prezioso, a cui solo le piattaformepossono accedere. Non è un caso che Amazon abbia investito in Deliveroo con l’acquisizione del16% delle quote. Una mossa anti Uber e anti Uber Eats. Eppure lo sbarco in borsa il mese scorso è stato un vero e proprio disastro. Ma i grandi azionisti (Amazon) e i vertici hanno già incassato, i piccoli pagano il conto. Il titolo è crollato del 30% ed è stato sospeso a pochi minuti dal debutto. Molti fondi hanno disertato la quotazione per dubbi sull’ inquadramento deirider che potrebbe creare problemi con i criteriEsg che definiscono la sostenibilità ambientale e sociale degli investimenti. I grandi soci, come Amazon, hanno invece scaricato le loro partecipazioni sul mercato in fase di collocamento. La spagnola Glovo, dal canto suo, ha intanto acquisito Foodora accedendo a un bacino di 620 mila utenti e 4500 partner commerciali, diventando insieme a Deliveroo la seconda piattaforma per la consegna a domicilio in Italia. Non si fa attendere la replica dei giganti. Deliveroo spiega tuttavia che “c’è una clausola che ci permette di trasferire i dati a società terze in modo completamente legale e sicuro” dato che la app utilizza dati anonimi sugli ordini per generare analisi, come quelle sui trend alimentari. Anche ‘Just Eat’ cede i dati a condizione che abbia espresso il tuo consenso”. Per policy, Uber non vende i dati degli utenti e dalla società puntualizzano la condivisione con l’autorizza zione del cliente. Caso un po’ a parte è quello di ‘Moo venda’, unica app italiana ad ammettere il monitoraggio dei trend alimentari precisando però che ”non è nella nostra policy barattare contatti: teniamo molto ai nostri clienti e alla loro privacy”. Il tema, tuttavia, resta centrale soprattutto in fase di lockdown epidemico, se è vero che “il dato è una moneta”.


 31.4.2021


Per un pugno di 5 dollari si scannerizza il viso o il corpo 

Dati personali in cambio di pochi dollari. Lo ha fatto Google, offrendo ai passanti di alcune città americane 5 dollari per migliorare il sistema di scansione del volto che finirà sui suoi prossimi smartphone. L’esperimen to va di pari passo con un’al tra iniziativa targata Amazon che prevede un compenso per la scannerizzazione del proprio viso o del proprio corpo. Alcuni dipendenti dell’azienda di Mountain View si presentano ai passanti per l’esperimento, nelle strade di New York e di altre città americane, e alle persone che accettano di partecipare viene fatta firmare una liberatoria. E poi, certo, la carta regalo da 5 dollari da spendere su Amazon o da Starbucks. Amazon, invece, ha offerto una carta regalo di 25 dollari a chi era disposto a farsi scannerizzare il corpo, fornendo così una serie di dati potenzialmente utili a rifinire le taglie per la vendita di vestiti online. Una recente indagine di Kaspersky ha messo in rilievo che oltre un terzo degli utenti a livello globale è disposto a dare accesso ai propri dati in cambio di denaro. Negli Stati Uniti una serie di associazioni per i diritti umani hanno lanciato appelli alla Silicon Valley a non vendere questo genere di software alle agenzie governative.


Piatti pronti. Nel 2020 +70% Il 28% sceglie la consegna tramite app 

Nel 2020 il 70% degli italiani ha ordinato piatti pronti da ristoranti/pizzerie/ altri locali per l’asporto o con consegna a domicilio. Il 28% degli italiani ha ordinato tramite piattaforme di consegne (Deliveroo, JustEat, Glovo) e il 12% ha usato direttamente il sito/app del pubblico esercizio o ha prenotato tramite social, whatsapp, telefono. Emerge da una analisi dell’Osservatorio “The World after Lockdown”, curato da Nomisma e Crif.

E anche chi ha fatto la spesa online durante il confinamento ha sceltosoprattutto prodotti alimentari Made in Italy. Secondo i dati GfK Sinottica®, nei soli mesi di marzo e aprile 2020 era già cresciuto del +70% l’utilizzo di servizi di Food Delivery da parte degli italiani, rispetto al periodo precedente il confinamento. Il cibo più ordinato in assoluto attraverso i servizi di consegna domicilio è stata la pizza, seguita da hamburger e panini. In calo gli ordini a domicilio di cibo cinese e kebab, rispettivamente al quarto e quinto posto.

Ra.Vi.


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