La pandemia dei profitti ridisegna l’economia globale

 di Raffaella Vitulano


È bastato che il presidente del Consiglio Mario Draghi intervenisse al vertice sul Clima che ha inaugurato l’Assemblea generale dell’Onu perché i media si facessero immediati megafoni: l’emergenza climatica è come la pandemia, se non peggio. Insomma, fine emergenza mai. Quel gran filantropo dell’onni presente Bill Gates aveva da poco radunato 7 colossi mondiali preannunciando nuove sciagure. Dopo aver previsto - si fa per dire - con diverso anticipo la diffusione di una pandemia a livello globale, ora l’imprenditore multimiliardario americano sembra aver cambiato ambito: non più sanitario, ma climatico. Lo schema è sempre lo stesso: si annuncia un’imminente minaccia globale, si chiede alla popolazione un sacrificio e alla fine si prevede un grande guadagno per le solite multinazionali. Follow the money. Non a caso spicca, tra le varie dichiarazioni a sostegno, quella di Larry Fink, presidente e ceo di Blackrock, che già nella scorsa lettera agli azionisti e ai suoi omologhi aveva preannunciato l’im portanza di virare su ‘progetti sostenibili’. E’ però passata abbastanza sotto silenzio la notizia, riportata dal Sole24ore del 14 luglio, che per l’appunto Blackrock, il più grande gestore privato di fondi nel mondo, abbia stilato una lista di 244 società nel mondo che non fanno abbastanza per contrastare il climate change, arrivando in 53 casi a votare contro il management in assemblea. Capite l’ingerenza nelle società del fondo speculativo? Anche Bill Gates già nel 2015 aveva costituito il progetto Breaktrough Energy Catalyst, una coalizione di miliardari legati da un impegno comune per investire nelle tecnologie di cui per raggiungere un percorso verso zero emissioni nette entro il 2050. Dentro, i soliti noti: Jeff Bezos, patron di Amazon, Michael Bloomberg, il fondo di investimento Bridgewater e Jack Ma, il numero uno di Alibaba, l’equivalente cinese di Amazon. I partner di riferimento includono American Airlines, Arcelor-Mittal, Bank of America, The BlackRock Foundation, Boston Consulting Group, General Motors e Microsoft. In un recente comunicato stampa del progetto viene ossessivamente ripetuto il concetto di partnership pubblico private. Un concetto caro anche al generosissimo patron del WorldEconomic Forum di Davos, Klaus Schwab. In pratica, il nuovo business su cui si sono lanciate le principali corporations al mondo dovrà essere finanziato anche dagli enti pubblici e quindi anche dai contribuenti. In questo senso va anche intesa raggiunto tra il consorzio di Bill Gates e la Commissione europea, che prevede l’e sborso di 820 milioni di euro da Bruxelles per i prossimi quattro anni. In pratica la svolta green europea si dovrebbe tradurre nel finanziare con soldi pubblici i nuovi guadagni privati delle multinazionali. La rivoluzione green si fonde sempre più con la pandemia. Il nesso è sempre più evidente. Almeno a chi vuole guardare. Sono proprio i leader di Davos ad averlo spiegato, quando hanno deciso di usare la crisi come un’opportunità. E questo da più di un anno ormai. Qualcuno lo scopre solo in questi giorni, ma noi è da tempo che parliamo del Grande Reset. Dal suo lancio, il 3 giugno 2020. Pandemia e clima sono interconnessi. In particolare, l’ Agenda di risposta al Covid- 19 si integra perfettamente con l’“Agenda 2030” varata dall’Onu nel 2015. Il tema di “Agenda 2030” è un “mondo sostenibile” definito dall’ugua - glianza di reddito e di genere, dai vaccini per tutti sotto l’egida dell’Oms e della “Coalition for Epidemic Preparedness Innovations” (Cepi), lanciata nel 2017 dal Wef insieme alla Bill & Melinda Gates Foundation. L’Agenda Globale di Davos é allo stesso modo volta a ristrutturare l’econo mia mondiale secondo linee molto specifiche, molto simili a quelle sostenute dall’Ipcc, da Greta dalla Svezia e dai suoi amici come Al Gore o lo stesso Larry Fink di Blackrock. Annunciando il tema del 2021, anche Schwab ha puntato tutto sull’emergenza climatica. Gli sponsor del Wef di Davos hanno grandi progetti: “Il mondo deve agire congiuntamente e rapidamente per rinnovare tutti gli aspetti della nostra società e della nostra economia. Dall’istruzione ai contratti sociali e fino alle condizioni di lavoro. Ogni settore, dal petrolio al gas e fino alla tecnologia, dev’essere trasformato. In breve, abbiamo bisogno di un grande ripristino del capitalismo”. Ok, ma a favore di chi? E qui arrivano i soli buoni intenti di facciata: una economia più inclusiva, modifiche alle tasse patrimoniali, ritiro dei sussidi per i combustibili fossili e nuove leggi che regolino la proprietà intellettuale, il commercio e la concorrenza nonché obiettivi condivisi, comel’uguaglianza e la sostenibilità. “Sostenibilità” è la parola chiave, il grimaldello per piacere a tutti, coniato dal miliardario canadese Maurice Strong, petroliere e amico intimo di David Rockefeller, il personaggio centrale degli anni ’70 per la promozione dell’idea che le emissioni di Co2 causate dall’uomo stavano rendendo il mondo invivibile. Era il gennaio 2020, ben prima dello scoppio della pandemia globale, quando Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione Europea, annunciava a Strasburgo il piano per il “Green New Deal”. Una serie di “garanzie” per un totale di quasi 48 miliardi di euro, che avrebbero portato ad investimenti complessivi fino a 650 miliardi di euro, per trasformare radicalmente in chiave sostenibile l’economia europea. A fregarsi le mani era di nuovo Larry Fink, il solito presidente di BlackRock Inc., la più grande casa di investimenti al mondo in grado di gestire asset finanziari per un controvalore di oltre ottomila miliardi di dollari. Non troppo casualmente, a pochi giorni di distanza dall’annuncio della Von Der Leyen, Fink annunciava pubblicamente, tramite l’annuale lettera agli investitori, una “significa tiva riallocazione del capitale” dall’industria del carbone a quella ecosostenibile. Aggiungendo che “siamo sull’orlo di un fondamentale rimodellamento della finanza”. Questo verde che piace a tutti, ma soprattutto ai miliardari, non è quello delle famigliole ai picnic. La riprova è che qualche settimana dopo si scopre che la Commissione Europea aveva affidato proprio a Blackrock il compito di vigilare sulla “corretta integrazione di criteri di sostenibilità ambientale nelle strategie del sistema bancario europeo”. La svolta ecologista a livello mondiale rappresenta obiettivamente una legittima preoccupazione per il futuro della nostra umanità (più che del pianeta), ma la strada trovata dal neoliberismo per rivitalizzare un capitalismo già sfrenato è francamente discutibile. E se ne discuta, allora, della svolta ideologica di BlackRock e delle altre che cercano soprattutto il profitto.

1°ottobre 2021




Nasce la carta di credito che controlla le emissioni di carbonio dello shopping 

G ià nel 2006 il politico laburista britannico David Miliband auspicava una Carbon Credit Card, una carta di credito che funzionasse come una “prepagata”, dall’am montare fisso, che andasse a scalare a seconda delle scelte che vengono fatte per gli acquisti di cibo, energia, viaggi. E tuttora c’è chi porta avanti questo progetto, anzi lo sta realizzando. La carta di credito DO Black, che nasce a Stoccolma dalla startup fintech Doconomy, controlla ‘l’impronta di carbonio’ della spesa appena fatta e, quando l’u tente arriva alla cassa, emette implacabilmente la sentenza: transazione approvata o rifiutata. La carta è già operativa in Svezia. Sarà il Forum di Davos ad aiutare a rilanciare il progetto. Il coronavirus cede il trono alla Co2: Schwab e Gates sono d’accordo, la crisi di Covid ci serva come lezione. Creata nel 2018 da Johan Pihl e Mathias Wikström, Doconomy si propone di rendere il banking eco-friendly e di insegnare ai consumatori cosa devono e non devono fare. Tiene traccia dell’”impatto ambientale” di tutto ciò che compri (compreso il cibo) e ti taglia fuori nel momento in cui “hai esaurito il tuo credito di carbonio”.

Ra.Vi.

Le simulazioni delle Corporations anticipano con esattezza la realtà 

Crescita sostenibile e profitto sostenibile non sembrano così in sinergia.

La transizione energetica, ovvero il passaggio dall’uso dei combustibili fossili a qualsiasi forma di fonte rinnovabile avrà dei costi durissimi intermini sociali e democratici. Non si tratta di un effetto collaterale, ma di un obiettivo esplicitamente voluto. Un un rapporto del Club di Roma del 1991, intitolato The First Global Revolution sentenziava: “La democrazia non è una panacea. Per quanto possa suonare sacrilego, la democrazia non è più appropriata per gli obiettivi che abbiamo davanti”. La direzione è quella di una governance mondiale tecnocratica capace di affrontare “scientificamente” le emergenze globali (o che vengono presentate come tali). Un documento pubblicato nel 2010 dalla Fondazione Rockefeller aveva da tempo analizzato uno scenario in cui i governi rispondessero con autoritarismo a una pandemia di influenza mondiale. Così come Bill Gates assicurava che il suo Event 201 era solo una “simulazione” e non una “previ sione” della pandemia attuale , così anche questo documento della Fondazione Rockefeller ha saputo solo ‘casualmente’ anticipare eventi reali.

Ra.Vi.


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