Glasgow ufficializza le danze. Al via il business verde miliardario

di Raffaella Vitulano

L’inviato speciale degli Stati Uniti sul clima John Kerry ha parlato di ”progressi autentici” sul clima. Ma, cosa più importante, ha detto - riporta la Bbc di non aver mai visto così tanto ”vero denaro” messo sul tavolo senza esitazioni in un vertice dedicato all’emergenza climatica, nonostante esistano “punti interrogativi” su parte di quelle somme. Ecco, il denaro, il business, ha alimentato gli animi di Glasgow nella Cop26 appena conclusa. Altro che buone intenzioni. Uno dei quattro obiettivi della Conferenza, del resto, era di “mobilizzare la finanza”: secondo la Banca Mondiale, sono necessari 90 miliardi di dollari affinché le infrastrutture aiutino l’economia a decarbonizzarsi entro il 2030. Pochi spicci, insomma, che rischiano di aumentare il crescente fenomeno del greenwashing, la pulizia di coscienze istituzionali, finanziarie e imprenditoriali tramite uno sfacciato marketing di facciata vuoto di azioni concrete. Stiamo già assistendo all’aumento di crediti spazzatura immessi sul mercato e acquistati da grandi inquinatori. Secondo una nuova ricerca della Australian Conservation Foundation, un credito di carbonio su cinque potrebbe benissimo essere aria fritta. Così, per garantire l’autenticità degli investimenti verdi, la Climate Bonds Initiative, sulla carta organizzazione no-profit, ha sviluppato un sistema di accreditamento ora adottato dall’Ue e dalla Cina i cui investitori sono affamati di modi per “rinverdire” i loro portafogli, secondo quanto afferma il Ceo Sean Rene. Nella recente asta, la Commissione europea ha messo sul mercato i suoi green bond, sottoscritti per un valore maggiore di 11 volte. Ciò significa che ha incassato 12 miliardi di euro a titolo. Non male, no? Ecco perché le richieste di progresso ambientale vanno lette con attenzione, valutando lo sforzo legittimo da parte di Big Tech nel ripulire le proprie aziende rispetto al banale spin di pubbliche relazioni che cerchi di compensare il loro cattivo comportamento nel greenwashing. L’indisponibilità di informazioni concrete ha creato un sistema in cui le aziende possono promuoversi utilizzando qualsiasi tonalità lusinghiera desiderino, indipendentemente dalle loro azioni effettive, conpoco timore che il pubblico si renda effettivamente conto che si verifichi un inganno. Segui i soldi. Lo spiega bene “Repubblica”: ”La dinamica è alimentata da fiumi di investimentiprovenienti da Wall Street, la City di Londra, Tokyo e persino Shanghai. Le banche d’affari, i grandi fondi d’investimento e le multinazionali hanno deciso di scendere in campo in questa battaglia non, sia ben chiaro, per altruismo ma perché hanno capito che salvare il pianeta è un bel business. L’esempio più eclatante di questo trend viene dall’aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili. Dal summit climatico di Parigi nel 2015, più di 2.200 miliardi di dollari sono stati spesi da aziende, fondi d’investimento e governi per rendere più efficiente l’e nergia generata da sole, vento e batterie, secondo un’analisi di Bloomberg”. Accanto ai governi, grandi istituzioni finanziarie internazionali - tra cui l’H sbc, la grande banca britannica, e il gigantesco fondo Fidelity International - si sono impegnate a non finanziare più progetti basati sul carbone.” Per ora, i fondi legati all’Esg (environmental, social, governance), ovvero investimenti responsabili, sono intorno ai 38.000 miliardi di dollari ma nel 2025 raggiungeranno 53.000 miliardi, quasi un terzo di tutti i patrimoni gestiti.

Si capisce che somme come queste necessitano di regole chiare, proprio perché fanno gola a malintenzionati. L’ambien talismo di facciata rischia di diventare un problema serissimo. La Conferenza di Glasgow ha annunciato con toni trionfali che “la Finanza diventa verde: nasce la Glasgow Financial Alliance for Net Zero, della quale fanno parte i principali proprietari e gestori di patrimoni e le banche con il potere di mobilitare trilioni di dollari per la transizione verso lo zero netto di emissioni entro il 2050”. Hanno finora aderito alla Alleanza Finanziaria 450 banche e multinazionali di 45 paesi, impegnandosi a ”investire oltre 130 trilioni (130 mila miliardi) di dollari di capitale privato”. I capitali vengono raccolti attraverso l’e missione di Green Bond (obbligazioni verdi) e investimenti effettuati da fondi pensione, in gran parte con i soldi di piccoli risparmiatori che rischiano di ritrovarsi in una ennesima bolla speculativa. È l’ennesima, ma colossale, operazione finanziaria lanciata dalla Goldman Sachs, dalla Deutsche Bank e dalle altre grandi banche statunitensi ed europee. Per ottenerli, essi devono attenersi all’Indice Esg (Enviroment, Society,Governance), le cui norme sono stabilite dal Dipartimento di stato Usa, dal World Economic Forum, dalla Rockefeller Foundation, dalla Banca Mondiale. A garantire il rispetto dell’am biente sono compagnie petrolifere come la Royal Dutch Shell che, dopo aver provocato un disastro ambientale e sanitario nel delta del Niger, si rifiuta di bonificare le terre inquinate. Si capisce quindi perché, quando Greta Thunberg avvia una petizione affinché l’Onu dichiari il clima un’emergenza come il Covid, una riflessione si impone, soprattutto sullo slogan “non c’è più tempo”. Secondo il modello di governance Great Reset, già avviato da tempo, gli stati e le aziende formano “parte nariati pubblico-privato” per il controllo della governance. La configurazione produce un ibrido stato-multinazionali in gran parte inspiegabile ai costituenti dei governi nazionali. Ma leggendo a ritroso l’impostazione del Forum di Davos, che del Great Reset è artefice e pigmalione, il filo logico c’è. Il modello di governance del Wef rappresenta la parziale privatizzazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, estendendosi ben oltre nell’influenzare la costituzione e il comportamento dei governi di tutto il mondo. Uno schema che il politologo Ivan Wecke considera ”un’acquisizione aziendale della governance globale”. Ma anche la governizzazione dell’industria privata. Con il “capitalismo degli stakeholder” di Klaus Schwab e il modello di governance multi-stakeholder, le multinazionali sono rappresentate come importanti aggiunte ai governi e agli organismi intergovernativi e lo Stato viene così esteso, ma depotenziato dall’aggiunta di enormi risorse aziendali che possono attingere ai finanziamenti governativi. E le crepe nella facciata del greenwashing potrebbero iniziare a mostrarsi proprio a partire dal settore finanziario.

(17.11.2021)





Tutte le promesse delle maggiori multinazionali 

Le multinazionali si scatenano negli annunci “spin” più acchiappa like dei social. Ed è vera e propria gara tra loro. Apple ha annunciato il lancio di 10 nuovi progetti ambientali come parte della sua iniziativa Power for Impact, ha aggiunto che 175 dei suoi fornitori passeranno all’utilizzo di energia rinnovabile, e che, entro il 2030, ogni dispositivo venduto dall’a - zienda avrà un impatto climatico nullo. La società avrebbe già ridotto le sue emissioni di carbonio del 40% negli ultimi cinque anni. Google, d'altra parte, ha indicato il suo obiettivo di raggiungere zero emissioni nette “in tutte le nostre operazioni e catena del valore entro il 2030”.

Microsoft ha fatto promesse ancora più alte: sarà “carbon negative” entro il 2030 ed entro il 2050 rimuoverà dall’am biente tutto il carbonio che l'azienda ha emesso, direttamente o tramite il consumo elettrico da quando è stata fondata nel 1975. Mah. Amazon, da parte sua, ha annunciato di aver selezionato tre startup a basse emissioni di carbonio: Resilient Power; Cmc Machinery; e Infinium.

Ra.Vi.


Cos’é il greenwashing e perché è insidioso? 

Il termine è stato coniato per la prima volta nel1986 dall’ ambientalista Jay Westerveld in un saggio, esaminando la pratica del settore alberghierodi lasciare cartelli nelle stanze degli ospiti invitandoli a riutilizzare i loro asciugamani per aiutare a “salvare l'ambiente”. Di fatto, solo pubblicità. Ma la pratica del greenwashing in America risale al 1953, quando i produttori di bevande lanciarono una campagna, ricordando al pubblico di essere buoni amministratori ambientali solo per prevenire l’arrivo di normative sull'uso di contenitori usa e getta.

Il greenwashing si è metastatizzato negli anni ’80 con le autocelebrazioni delle grandi compagniepetrolifere che cercavano di ridurre al minimo lapropria responsabilità e colpevolezza in scandalidi inquinamento ambientale e riscaldamento globale, come la campagna People Do di Chevron mentre scaricava petrolio nei rifugi dellafauna selvatica. Le azioni della Exxon negli anni’90 furono ugualmente criticate. Il greenwashing rimane una tattica di marketing ampiamente utilizzata anche oggi in insalate di parole appetitose rigurgitate da dirigenti di aziende in realtà inquinanti e poco virtuose.

Ra.Vi.
















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