Le élites di Glasgow e il clima davvero inquinato

 di Raffaella Vitulano

Qualcuno lo considera la Davos della vita lavorativa, ma a dire il vero poche notizie si rintracciano sul web del Common Sharing Forum, in cui Rappresentanti del pubblico, dei lavoratori e dei datori di lavoro si sono riuniti di recente in Turchia per dire “Insieme è possibile”.

Possibile fare cosa? In realtà, per un Forum che sembra sbiadito rispetto a quello che ha rappresentato il World Social Forum decenni fa, pare difficile assai sfidare il World Economic Forum che quatto quatto ha tenuto di recente un summit sulla “sostenibilità” a Ginevra. Tocca ora al la città più grande della Scozia, Glasgow, a riunire i potenti e le cosiddette élites, che evidentemente hanno sempre più bisogno di incontri. Famosa per i bar di fritti, le serate in discoteca e la rivalità calcistica, Glasgow sta per attirare una rete di élites globali che si radunano solitamente davanti allo champagne. Il 31 ottobre per due settimane si terrà il più grande raduno mondiale sul clima, noto come Cop26, per fronteggiare la nuova emergenza climatica. A Glasgow, come a Davos, sono previsti nomi come Leonardo Di Caprio, Bill Gates e Jeff Bezos. Filantropi come noto. La famiglia reale britannica, guidata dalla regina Elisabetta II e dal principe Carlo, non se la perderà. Saranno presenti più di 100 leader nazionali. Per le multinazionali del mondo, la Cop26 è sia un momento di azione, sia un’opportunità di branding. Un gruppo chiamato “Glasgow è il nostro business” include i massimi dirigenti di Amazon, McDonald's, Mars, Starbucks, LinkedIn, Microsoft e United Airlines e ha iniziato a rilasciare dichiarazioni concretamente utili alla società come “il futuro sta guardando”.

Oltre alla “zona blu” ufficiale (per i diplomatici) e alla “zona verde” (per la società civile e le aziende) della Cop, si sta sviluppando una “zona platino” intorno alla conferenza, per soddisfare il jet set di Davos che non è tentato dai pub e negozi di kebab. Le case signorili, disseminate in tutta la campagna scozzese, sono improvvisamente esaurite, inclusa la tenuta delcastello di Craufurdland. Ovviamente anche il World Economic Forum, l’organizzazione ospite a Davos ogni gennaio, scende a Glasgow. L’eccitazione intorno alla Cop26 é segno che il cambiamento climatico

è andato oltre l’organismo internazionale – la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – che è stato creato esclusivamente per sconfiggerlo. Ryan Heath, autore di Global Translations - la newsletter e il podcast globale di Polìtico - ha lavorato per la Commissione europea a Bruxelles come relatore di discorsi presidenziali e successivamente come portavoce della Commissione per le questioni digitali. E’ volato a Bruxelles per incontrare alla vigilia dell’even to di Glasgow Sharan Burrow, segretaria generale dell’Ictu, per chiederle quali siano i modi migliori per camminare sul filo del rasoio dell’influente powerbroker, di come si senta riguardo l’evoluzione del World Economic Forum e perché si sia convertita alla lotta al cambiamento climatico. Burrow “é l’insider-ou - tsider per eccellenza. Siamo entrambi cresciuti a sei ore di macchina da Sydney e siamo finiti a Bruxelles a lavorare per istituzioni internazionali”. Sharan Burrow ritiene che questo più ampio movimento per il clima sia necessario e sia soprattutto un segno di progresso. Burrow sostiene che tale ampio interesse per le conferenze della Cop26, lungi dalla passerella, è un passo avanti rispetto al decennio di lobbying necessario per ottenere i diritti umani e il linguaggio della “giusta transizione” a partire da Parigi 2015. Il rischio del cosiddetto greenwashing (pratica ingannevole, usata come strategia di marketing da alcune aziende per dimostrare un finto impegno nei confronti dell’ambiente) da parte delle multinazionali è tuttavia reale, ma Burrow è ottimista: “Non si può mentire ai lavoratori. Dobbiamo basare le nostre richieste per il futuro (del lavoro) in base a ciò che è reale”. E sul suo potenziale conflitto d’interessi nella sulla partecipazione al World Economic Forum di Davos, spiega che “Se non ci sono personeall’esterno che chiedono un cambiamento, non hai legittimità all’interno per negoziare il cambiamento”. Intende questo per insider-outsider? Stare all’interno dei posti di comando per fare pressioni: “Possiamo fare più lavoro negoziando per i lavoratori e facendo pressioni su più governi in una settimana di quantopotremmo fare in un anno. Ma allo stesso modo, non ti senti mai a tuo agio”. I temi di Davos, del resto, ormai sembrano piuttosto

bizzarri e molto distanti dai problemi di disoccupati e lavoratori anche se poi la condizioneranno: mucche che non rutteranno più metano grazie alle pasticche, stelle marine in provetta contro il cambiamento climatico, uso delle interiora dei ricci come prelibatezza per fare il sushi, droni per la riforestazione in Africa, nuovi vaccini mRNA contro varie malattie, cemento auto-rigenerante con enzimi del sangue umano, inviti a lavare i jeans non più di una volta al mese per non consumare acqua e rendere sostenibile l’industria del fashion, droni intelligenti travestiti da piccioni, cibo creato in laboratorio per gli animali domestici. Hai voglia a parlare di complottismo quando tutto questo è ben spiegato sul sito ufficiale del Wef. I piani del grande “ar chitetto” del nuovo mondo dopo il Great Reset, Klaus Schwab, sono stati del resto ben confermati durante il vertice sulla “so stenibilità” a Ginevra. Angelo Gurria, segretario generale Ocse dal 2006, e il buon Schwab, fondatore e presidente Esecutivo del Wef, la loro idea di lavoro per il futuro ce l’hanno: il 50% dei lavoratori attualmente occupati avrà bisogno di una riqualificazione entro il 2025 per soddisfare le esigenze di un mercato del lavoro in evoluzione. Già nel 2020 Davos confermava che il Covid-19 e la Quarta Rivoluzione Industriale hanno causato una doppia riduzione dei posti di lavoro. Due mesi soli di pandemia hanno distrutto più posti di lavoro negli Stati Uniti rispetto a due anni di Grande Recessione. Altro che mucche.

20 ottobre 2021




“Facebook fa male, va frenato come le sigarette” 

Kara Swisher, reporter del New York Times, è convinta che i social media possano essere pericolosi per la salute, e ricorda che già nel 2018, intervistando Marc Benioff - amministratore delegato di Salesforce - quest’ultimo aveva fatto una sbalorditiva metafora, affermando che Facebook era da considerare qualcosa di nocivo come le sigarette: “Dà dipendenza.Non fa bene alla salute”, affermando ancora che, come già fatto a suo tempo con i produttori di sigarette, “il governo dovrebbe intervenire, regolamentando ciò che sta accadendo”.

Nelle scorse settimane, il Wall Street Journal ha pubblicato “The Facebook Files”, inchiesta dalla quale sono emerse problematiche legate alla discriminazione ma anche sulla tossicità dei social network dell’azien da.Zuckerberg deve difendersi anche da una talpa: perfino l’ex dipendente

Facebook Frances Haugen, ingegnere informatico di 37 anni, ne è convinta e ha lanciato un appello al Senato Usa perché la politica intervenga per limitare il social, paragonandolo al fumo e agli oppioidi.

Ra.Vi.

Ituc: i ministri del G20 falliscono su commercio e investimenti 

La riunione ministeriale del G20 sul commercio e gli investimenti della scorsa settimana mostra che non c'è accordo su un percorso da seguire per la riforma dell’economia globale e delle regole del commercio globale. Il sindacato internazionale Ituc sostiene che “la devastazione per molti milioni di lavoratori che hanno perso i loro redditi e mezzi di sussistenza e non possono accedere ai vaccini significa che i ministri del commercio devono essere in prima linea nel guidare il cambiamento delle regole che governano il sistema globale. I paesi devono lavorare insieme per ricostruire la fiducia basata sul lavoro dignitoso, con i diritti umani e del lavoro come base per una concorrenza leale”. La speranza di condividere la proprietà intellettuale e la capacità di produzione dei vaccini e la speranza di riforma dell’Omc sonostate lasciate nel vuoto, con dichiarazioni vaghe e nessun accordo su azioni

urgenti. La pandemia ha messo a nudo le linee di frattura dell’economia mondiale, ha alimentato una disuguaglianza ancora maggiore e ha rivelato le debolezze nelle catene di approvvigionamento globali.

Ra.Vi.


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