Congo, schiavitù e sfruttamento nella lotta per le materie prime

 di Raffaella Vitulano

In Africa attualmente sarebbero in corso guerre in 31 stati su 54 e vi agirebbero 279 tra milizie-guerrigliere, gruppi terroristi, separatisti, anarchici e integralisti islamici. Conflitti che rappresentano il lascito del vecchio colonialismo da una parte e, dall’al tra, dell’interventismo geopolitico di vecchie e nuove potenze coloniali (Cina), delle grandi multinazionali interessate a sfruttare le ricchezze del continente e della criminalità organizzata. Ma quanto vale il tesoro del Congo? Dal coltan all’o ro, dal petrolio al legno, il Congo è lo stato più ricco di risorse naturali dell’Africa. Gli oltre 84 milioni di abitanti potrebbero vivere nel benessere, se solo i suoi governanti investissero nel paese le royalty ricavate dalle estrazioni minerarie. Il Pil pro-capite è tuttavia di circa 450 dollari, uno tra i più bassi al mondo, e l’indice di sviluppo umano è 0,433 che colloca la Repubblica Democratica del Congo al 176esimoposto al mondo. Tutte le risorse naturali eminerali sono lì. Materie prime che fanno gola amezzo mondo e che rappresentano una condanna a morte per i 100 milioni di abitanti che sopravvivono con due dollari il giorno, mentre centinaia di migliaia di minatori sono schiavisalariati. Donne, giovani e bambini in miniera, costretti a estrarre il minerale con mezzi rudimentali per paghe bassissime; anche 10 centesimi al giorno, a fronte del valore di vendita sul mercato estero di circa 600 dollari al kg del coltan. Materie prime: per impossessarsene si è combattuta una guerra che l’ex segretario di stato americano Madeleine Albright definì ”la Prima guerra mondiale africana”. Sul terreno si sono dispiegati gli eserciti di Burundi, Ruanda, Uganda, Zimbabwe e Angola. Da quella guerra sono nate decine di formazioni di guerriglieri mercenari. Negli ultimi tempi i diamanti hanno sostituito rame e cobalto come principale voce delle esportazioni. Il cobalto, di cui è ricco il Paese, finisce tutto nelle mani dei cinesi. I diamanti, per oltre 22 milioni di carati, sono nelle mani delle multinazionali. Il coltan estratto praticamente solo in Congo - prezioso per l’indu stria della telefonia mobile e per quella aerospaziale, è gestito dal Ruanda. L’uccisione a Goma dell’Ambasciatore italiano Luca Attanasio e di un militare dell’Arma dei Carabinieri in forze alla missione Onu riaccende i riflettori su una guerra civile strisciante che da oltre un quarto di secolo insanguina quella parte del mondo. Dalla morte del dittatore Mobutu nel 1997, infatti, quello che al tempo si chiamava Zaire ha conosciuto un costante processo di scomposizione territoriale, favorito da interessi multinazionali che si servono di interposte fazioni paramilitari per continuare a fare i loro interessi. Secondo le indagini di Amnesty International, la Huayou Cobalt cinese e la controllata Cdm lavorano il cobalto prima di venderlo a tre produttori di componenti di batterie in Cina e Corea del Sud. Questi a loro volta vendono ai produttori di batterie che riforniscono aziende tecnologiche e produttori di automobili, tra i quali Apple, Microsoft, Samsung, Sony, Daimler e Volkswagen.

Multinazionali responsabili Cosa prevedono le legislazioni 

In Svizzera ci hanno provato. Il 50,7 % della popolazione si è espresso a favore dell’Iniziativa per multinazionali responsabili, sostenuta da Amnesty International. Il testo è però stato respinto dalla maggioranza dei Cantoni. L’Iniziativa avrebbe obbligato le multinazionali con sede in Svizzera al rispetto dei diritti umani e delle norme ambientali anche nelle proprie operazioni all’este ro. Quando le attività delle multinazionali violano i diritti umani e rafforzano la povertà, i mezzi a disposizione per portarle ad assumersi le proprie responsabilità e a risarcire le vittime sono veramente pochi. Negli ultimi anni alcuni paesi hanno rafforzato l’obbligo per le multinazionali di rispondere delle proprie azioni. La Francia ha introdotto una legislazione simile a quella proposta in Svizzera. Nel Regno Unito, in Canada e nei PaesiBassi le persone lese possono già far valere il proprio diritto a un

indennizzo davanti ai tribunali, come previsto dall’Iniziativa. L’Unione Europea sta lavorando all’elaborazione di nuove regole in questo senso.

Ra.Vi.

La replica: estremamente difficile il controllo della subfornitura 

LE aziende responsabili non hanno nulla da temere, anzi hanno tutto da guadagnare”, sostiene Johannes Blankenbach del Business & Human Rights Resource Centre, una Ong di ricerca che analizza l’impatto di 10.000 aziende in tutto il mondo. Novartis e Nestlé però, ad esempio, temono un’ondata di cause legali che li porterebbe a riconsiderare gli investimenti nei paesi ad alto rischio se venisse approvata una clausola di responsabilità legale che consentirebbe a un individuo di citare in giudizio una società per violazione dei propri diritti. Le aziende non sono ritenute responsabili, ”se dimostrano di aver usato tutta la diligenza richiesta” per la garanzia del rispetto dei dirittiumani e dell’ambiente. Ma Yann Wyss, responsabile per Nestlé in materia di diritti umani, afferma che questo non attenua le sue preoccupazioni. L’Onu afferma che non spetta solo ai governi proteggere i diritti

umani; anche le aziende hanno una responsabilità nelle loro operazioni e in tutta la catena di subfornitura. E a volte ci sono ben quattro o cinque livelli da controllare tra la multinazionale e la miniera.

Ra.Vi.

10.3.2021



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