Pechino puntella Evergrande. Non sarà una nuova Lehman Brothers

 di Raffaella Vitulano


La gigantesca crisi del gigante immobiliare cinese Evergrande avrebbe poco a che fare con quella che colpì Lehman Brothers nel 2008. E’ quanto emerge dalle analisi dei commentatori stranieri alla vicenda. Lehman e Wall Street significavano finanza mondiale: crollato un pezzo, crollò il castello dai piedi di argilla e i derivati finanziari in pancia. Carta straccia, effetto domino. La Lehman era costruita sulla volatilità, Evergarde si poggia sui terreni che possiede. Il valore della terra è semplicemente più trasparente e stabile degli strumenti finanziari. Soprattutto in Cina, dove il governo locale monopolizza l’offerta di terra. La leggendaria banca d’investimento statunitense crollò 13 anni fa proprio a settembre in un momento iconico della crisi finanziaria globale. La banca aveva sottoscritto titoli per decine di miliardi di dollari garantiti da mutui rischiosi durante una bolla immobiliare negli Stati Uniti. Il governo degli Stati Uniti ha permesso a Lehman di fallire, mentre salvava altre istituzionifinanziarie. Nel caso della Cina, Pechino hacercato di consentire al mercato di svolgere un ruolo maggiore nell’eco nomia lasciando insolvere più prestiti delle imprese statali. La Cina non è organicamente collegata con il sistema finanziario mondiale, la sua moneta non è convertibile e non ci può essere una fuga di capitali. E poi ci sono delle restrizioniamministrative, non si può comprare una casa in Cina e rivenderla a piacimento. Inoltre - spiega Francesci Sisci, sinologo e docente all’Università del Popolo a Pechino - grandi riserve monetarie e un enorme surplus commercialedifendono la valuta da eventuali tentativi diattacco. Tutto questo di fatto isola dal mondo la finanza cinese, dunque è difficile che questa crisi cinese sfoci nel mondo. Certo, i dipendenti di Evergrande stanno soffrendo.

La società ha promesso ai suoi dipendenti che preso “usciranno dall’oscurità” causata dallastorica crisi del debito del conglomerato cinese. Il gruppo immobiliare in agonia, secondo un’inchiesta del New York Times, avrebbe chiesto nei mesi scorsi denaro ai propri dipendenti in cambio del mantenimento di bonus e benefit. Attirati dalla promessa di rendimenti prossimi al 12%, regali come purificatori d’aria Dyson e borse Gucci, decine di migliaia di investitori - tra cui appunto anche i dipendenti hanno acquistato prodotti per la gestione patrimoniale attraverso il gruppo di China Evergrande. Ora, molti temono che potrebbero non recuperare mai i loro investimenti dopo che la società a corto di liquidità ha recentemente smesso di rimborsare agli investitori e ha fatto scattare campanelli d’allarme globali per il suo enorme debito. Il giochino non ha funzionato e ora ad assediare il gigante finito a gambe all’aria ci sono anche i suoi stessi lavoratori. Xu Jiayin, presidente di Evergrande Group, ha riconosciuto in una lettera ai dipendenti che la società immobiliare a corto di liquidità “ha incontrato difficoltà senza precedenti” ma “sarà sicuramente in grado di accelerare la pienaripresa del lavoro e della produzione”. Per cercare di ripianare le sue perdite, il colosso immobiliare ha insomma utilizzato miliardi di dollari dei piccoli investitori e dei suoi stessi dipendenti facendo ricorso, attraverso i suoi dirigenti, a pressioni sui lavoratori del gruppoaffinché acquistassero prodotti finanziari,esponendosi economicamente in operazioni non adeguate al loro profilo. In una lettera al suo staff, Xu Jiayin, che ha fondato il gruppo nel 1996 e che è stato l’im prenditore più ricco di Cina nel 2017, con un patrimonio di 43 miliardi di dollari, ha assicurato che i cantieri riprenderanno completamente per raggiungere l’obiettivo principale: garantire la consegna degli immobili, dando una risposta ad acquirenti, investitori, partner e istituzioni finanziarie, che oggi temono la bancarotta della società. Too big to fail, troppo grande per fallire. E così Hengda, unità principale di Evergrande, allontana lo spettro default, dichiarando alla Borsa di Shenzhen che effettuerà un pagamento di interessi obbligazionari dando sollievo ai mercati globali sulle turbolenze finanziarie del secondo sviluppatore immobiliare cinese. Più di 80.000 persone hanno protestato negli uffici di Evergrande, rifiutando di accettare il piano dell’a zienda di ripagarli con appartamenti, uffici, negozi e parcheggi scontati. Una voce autorevole come quella dell’ex consigliere della Banca centrale cinese Li Daokui, ora alla School of Economics and Management della Tsinghua University, sottolinea che “la crisi del debito di Evergrande rallenterà comunque la crescita economica della Cina, anche se la crisi avrà una ricaduta minima sul sistema finanziario perché non ci sono strumenti derivati costruiti sul debito di Evergrande”.

24 settembre 2021

Un indebitamento di 305 mld di $ compresso dai limiti delle autorità 

Il gigante immobiliare cinese Evergrande é a rischio crac perché indebitato per 305 miliardi di dollari, per non aver ripagato imprecisati interessi su prestiti bancari. Evergrande conta 1,4 milioni di appartamenti (in 220 città) rimasti in cantiere per mancanza di fondi. I 3 milioni di dipendenti, tra cui molti costretti a versare i risparmi in fondi di risparmio finito male, sono in ansia. Il giocattolo è andato in crisi quando Pechino, preso atto della crescita esponenziale del debito, ha provato a correggere gli eccessi di uno sviluppo basato solo sul credito bancario. Le autorità hanno fissato limiti all’inde bitamento delle immobiliari, compresa Evergrande, che nella stagione della grande euforia si è tuffata nella speculazione di Borsa, con esiti incerti. Di fronte alla stretta, la società si è scontrata con la decisione di ridurre l’esposizione delle grandi banche, tutt’altro che solide, rispetto al mattone, che rappresenta il 29% del totale del credito. Davvero la Cina avrà gli strumenti e lo spazio politico per impedire che questa si trasformi in una crisi sistemica?

Ra.Vi.

Niente tasse per la classe media E’ la base del consenso al governo 

Le amministrazioni locali, affamate di fondi, vendono i terreni a prezzi sempre più alti, cosa che spinge in alto il prezzo finale di vendita. Il prezzo del terreno e i vari oneri comunali rappresentano circa la metà del prezzo finale dell’appartamento. Quindi, in pratica, si costruisce tanto, al di là di logiche commerciali sostenibili.

Il mercato però è concentrato nelle grandi città, dove ci sono forti limiti agli acquisti, ed è inesistente nelle province. Inoltre Pechino è restia a tassare gli immobili, dove sono immobilizzati la maggior parte dei risparmi della classe media, perché appunto colpirebbe la classe media, oggi base del consenso intorno al governo. Il rischio, ora é che la crisi di Evergrande possa contagiare anche il settore immobiliare di Hong Kong, che rappresenta circa metà della Borsa del territorio.

Gli Usa, che dominano la finanza mondiale, non si fidano più della Cina. Per molte ragioni. E quindi una crisi, grave, gravissima, ma forse anche controllabile, fa invece paura, perché non c’è più fiducia nel paese.

Ra.Vi.





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