Le miniere illegali continuano ad uccidere

 di Raffaella Vitulano

Sotto terra. Nelle miniere illegali e non. Alla ricerca di qualche minerale la cui vendita potrebbe procurare alle famiglie cibo necessario. Costi quel che costi; alla salute, alla propria vita. Si stima che nelle miniere della Repubblica Democratica del Congo lavorino circa 40.000 minori. La gran parte di loro lavora in miniere illegali, senza alcuna protezione, a mani nude. Il cobalto è un componente fondamentale delle batterie al litio utilizzate per i nostri cellulari, tablet, computer e altri dispositivi elettronici. In India accadono cose analoghe. Il reportage fotografico tratto dal libro Odissonom di Domenico Tattoli ne riporta alcune tragiche istantanee. Le case crollano, la vegetazione e gli animali sono scomparsi, tutto è stato inghiottito da voragini aperte con le esplosioni nelle cave di carbone. Sono oltre 100 le miniere legali e altrettante quelle illegali che bruciano ininterrottamente da decenni, liberando nell’aria incalcolabili quantità di monossido di carbonio rendendolo uno dei luoghi più inquinati del pianeta. Anche in questo inferno i bambini sono vittime innocenti di strategie economiche sconsiderate. Infanzie rubate e vite segnate. I reportage del Washington Post ci portano invece a Roodepoort, una città nell’area metropolitana di Johannesburg, in Sudafrica, appena fuori l’au tostrada e dietro un’officina gialla di riparazioni per auto, dove Andile Jeremiah si cala all’interno di un buco nel terreno e si infila in una centenaria miniera abbandonata che ha contribuito ad arricchire il suo paese. Oggi le macerie del settore minerario sudafricano sono diventate simbolo di qualcos’altro: di disperazione. La crescita economica sudafricana è ferma. La domanda di minerali dalla Cina, una volta molto forte, è crollata. Le miniere che avevano arricchito così tante persone sono state costrette a chiudere, dopo che le riserve si sono esaurite più velocemente del previsto. Oggi una generazione di sudafricani e migranti poveri entra illegalmente nelle miniere alla ricerca di qualsiasi cosa sia rimasto. Alla miniera di Durban Deep Elton John dedicò perfino una canzone. Le riserve della miniera iniziarono poi a diminuire. L’oro rimasto era così inaccessibile da rendere la sua estrazione troppo costosa e pericolosa. La miniera fu chiusa e i suoi tunnel furono sigillati con il cemento. Ma le esplosioni improvvisate di dinamite aprono piccoli varchi. Lì sotto il rischio di morire è altissimo; i minatori raccontano che ogni settimana a Durban Deep muore almeno una persona, ma non esistono cifre ufficiali.

Tra il 2004 e il 2015 un terzo delle 180mila persone che lavoravano nel settore minerario sudafricano sono state licenziate. Uno di loro, Jeremiah, dopo aver passato 24 ore sottoterra ancora raccoglie tutte le rocce e i mucchi di polvere promettenti per portarli in un quartiere vicino, dove vengono raffinati in tinozze di mercurio e poi rimescolati in vecchie bombolette a gas di metallo. Ci vogliono ore prima di capire esattamente cosa abbia recuperato. A volte una giornata di lavoro frutta a Jeremiah tre dollari, altre volte cinquanta.

Dietro ai cercatori d’oro bande di criminalità organizzata 

Nel solo 2018 l’estra zione di oro ha causato la deforestazione di circa 9mila ettari di foresta amazzonica. Per proteggere la foresta e i suoi abitanti il governo peruviano ha deciso di mettere in campo le proprie forze armate, in uno dei primi concreti tentativi di fermare l’e strazione illegale di oro. A fine 2020 il governo, guidato dall’allora presidente Martin Vizcarra, ha inviatomigliaia tra agenti di polizia e militari a Madre de Dios, area pluviale nel sud-est del Paese minacciata dai cercatori d’oro, che oltre a provocare la distruzione della foresta, disperdono tonnellate di mercurio nell’ambiente e favoriscono lo sfruttamento di minori nelle miniere. Le forze dell’ordi ne presidieranno l’area per sei mesi. Non è la prima volta che il Perù invia le proprie truppe per fermare le miniere illegali. I precedenti tentativi, tuttavia, non hanno riscosso successo. La foresta è infatti vasta e difficile

da presidiare e i minatori, alle cui spalle ci sono violenti gruppi di criminalità organizzata, possono darsi facilmente alla macchia per poi riorganizzarsi una volta che le forze di sicurezza se ne sono andate.

Ra.Vi.

Coltan, quando l’illegalità entra nei tablet e nei cellulari 

Si calcola che il 90% del coltan provenga da miniere illegali congolesi, dove ai lavoratori, spesso bambini, vengono corrisposti compensi che raggiungono al massimo i 2-3 dollari per ogni chilo di minerale estratto, esportato poi nel vicino Ruanda e rivenduto a un prezzo che può raggiungere i 500-600 dollari al chilo. Né il debole stato congolese né il contingente dell’Onu dislocato in questa regione riescono a esercitare efficaci forme di controllo sulla maggior parte delle miniere. Lo sfruttamento illegale da parte di bande criminali determina inoltre migrazioni forzate di intere popolazioni costrette ad abbandonare le zone soggette a sfruttamento minerario. I minatori sono schiavi senza catene e il lavoro infantile è particolarmente ricercato, in quanto i bambini sono in grado di muoversi in spazi particolarmente ristretti. Il minerale estratto viene trasportato, sotto lo stretto controllo delle bande armate, nel vicino territorio del Ruanda, dove avviene l’incontro con mediatori alle dipendenze soprattutto di aziende cinesi ma anche statunitensi ed europee. Per il controllo della liceità della provenienza del coltan non è attualmente prevista una regolamentazione analoga a quelle esistenti per i diamanti e per l’oro.

Ra.Vi.

19.2.2021




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