Sudore, sangue e batterie. Così il rame spiazza i mercati

 di Raffaella Vitulano

Un colore che emana bagliori, ma non così solari come il prezioso oro. Eppure il rame è in terribile ascesa. Quando il carismatico Robert Friedland, Ceo di Ivanhoe Mines, artefice del megaprogetto di rame Kamoa-Kakula nella Repubblica democratica del Congo, presentò il rame come il ”metallo del futuro” la platea degli investitori scosse il capo rappresentandolo come un imbonitore, un venditore di prodotti maldestro e sborone. Il solito sfruttatore di manodopera in cerca di metalli mediocri da rifilare ad ingenui polli di Borsa. Ma capire gli scenari significa innanzitutto anticiparli, precedere i trend prima che fruttino quattrini. Crearli, non farli propri o inseguirli annaspando dietro ai vincitori sminuendone le qualità predittive. Così, anche se la domanda di rame rimane forte anche in presenza mix dell’of ferta (più rottami e meno raffinato), Friedland ci aveva visto giusto, perché il rame è in costante, vertiginosa, crescita. Di fronte a chi storce la bocca di fronte a nuovi scavi del pianeta, Mark Senti, amministratore delegato della società di magneti di terre rare Advanced Magnet Lab Inc. taglia corto: “Questa è solo la realtà. Non si può avere energia verde senza l’estrazione mineraria”. Così, per salvare il pianeta bisogna estrarne maggior rame possibile. Anche per i magneti di terre rare, potenziatori dei metalli ad effetto steroide, vale la stessa cosa. Sono usati tanto per fare una gamma di beni di consumo elettronici quanto missili a guida di precisione e altre armi.

Ci aveva visto lungo Deng Xiaoping, vero architetto della superpotenza cinese, quando già nel 1992 sentenziò: “Il Medio Oriente ha il petrolio, noi i metalli rari”. Molti analisti condividono il suo punto di vista, compresi quelli di Goldman Sachs, che da poco hanno pubblicato una nota di ricerca.

Il documento sostiene che non ci può essere transizione energetica senza questo metallochiave, il cui prezzo è previsto salirà a 11.000 dollari per tonnellata a Londra, entro aprile 2022, prima di raggiungere circa 15.000 dollari per tonnellata nel 2025. Il petrolio passa in secondo piano, mentre metalli come il rame e il litio guadagnano importanza. Il rame è un componente essenziale dei sistemi che permettono all’energia eolica, solare e geotermica di essere sfruttata e trasmessa per applicazioni come il riscaldamento delle case, hanno notato gli analisti. Il mercato sembra aver recepito il messaggio: i prezzi del rame sono saliti dell’80% negli ultimi 12 mesi, e l’offerta è limitata mentre la domanda sale alle stelle. Ma l’offerta dove si trova? In Africa, ad esempio, in Congo soprattutto, dove si assiste a sfruttamenti del suolo e dei lavoratori senza precedenti. L’Australia ospita invece le seconde più grandi riserve di rame al mondo ed è il sesto più grande produttore di metallo rosso dietro gli Stati Uniti. Ad oggi, le miniere attive nel paese sono dozzine. Il giornalista Twanda Karombo rileva dalle pagine di Quartz quanto il settore delle risorse minerarie africane sia stato legato a lungo a sfruttamenti internazionali. Per troppotempo la ricchezza mineraria dell’Africa non è riuscita a sollevare la maggior parte dei cittadini comuni dalla povertà. Paesi ricchi di risorse tra cui Zimbabwe (oro, platino, diamanti), Sierra Leone (diamanti), RDC (rame, cobalto, oro,diamanti), Guinea (minerale di ferro, bauxite) e altri ancora si trovano sono fanalini di coda nellevarie classifiche di povertà globale e sviluppo umano. In Congo lo sfruttamento prosegue e i minerali “insanguinati”, frutto di sudore ma spesso anche di sangue versato, da qui vanno in Cina, dove finiscono nelle fabbriche che producono tutta la nostra tecnologia. Anche il rame, a cui la Cina presta molto interesse. L’idea dietro al neocolonialismo cinese è pragmatica e priva del “fardello umanitario” degli occidentali, purché favorisca gli interessi di Pechino. Solo la coriacea Serbia ha ordinato al gruppo minerario cinese Zijin Mining di interrompere l’attività estrattiva in corso nell'unica miniera di rame del Paese accompagnando lo stop con la richiesta di completare l’impianto di trattamento delle acque reflue perché non conforme agli standard ambientali del Paese. L’ulti ma minaccia di interruzione dell’offerta nel mercato del rame arriva invece dai lavoratori portuali cileni che hanno indetto uno sciopero in risposta alla richiesta del presidente Sebastian Piner di bloccare un disegno di legge che avrebbe consentito ai lavoratori di effettuare il terzo prelievo anticipato dai loro fondi pensione. Il Cile è responsabile di un quarto della produzione mondiale di miniere di rame. Un potenziale sciopero in un suo porto è dunque un rischio sostanziale per mercati già in sofferenza, e, in questo contesto, anche una modesta interruzione potrebbe avere un impatto eccessivo sui prezzi.

Raffaella Vitulano

12.5.2021

Pechino non ha rivali nella raffinazione del metalli rari 

Le cinque maggiori società di rame del settore sono Codelco, Southern Copper; Gruppo BHP; Freeport- McMoRan; Glencore. Prima della globalizzazione, era soprattutto la Cina a sfornare metalli rari a costi bassi, con poco riguardo per l’ambiente e ancor meno per gli operai, ma il resto dei Paesi non si faceva certo problemi ad acquistarli. Negli anni tra il 1978 e il 1995 la produzione è aumentata in media del 40% all’anno. Le esportazioni sono cresciute di conseguenza, facendo calare i prezzi in tutto il mondo. Top ten dei produttori: Cile, Perù, Cina, Usa, Australia, Congo, Zambia, Messico, Indonesia, Canada. Ma la vera supremazia cinese sta nella raffinazione; qui Pechino controlla i quattro quinti della capacità globale (nella produzione, invece, la sua quota è scesa dal 98 al 60 %). Questo comporta che mineraliestratti ovunque devono essere inviati in Cina, perché l’Europa o l’America, ad esempio, non hanno strutture per lavorarli. Un fatto che innervosisce anche il Pentagono: é insidioso dipendere da un avversario per materiali essenziali che finiscono ovunque, dai missili a guida di precisione ai droni.

Ra.Vi.

E nelle aziende automobilistiche crolla anche la produzione di chip 

Oltre alla richiesta di rame anche quella di chip comincia a preoccupare le linee di produzione delle aziende automobilistiche e di elettrodomestici. Una carenza globale che sta ora lasciando le aziende incapaci di soddisfare la domanda, secondo il presidente della Whirlpool Corp in Cina. La carenza di chip, che è iniziata seriamente alla fine di dicembre, è stata causata in parte dal fatto che le case automobilistiche hanno calcolato male la domanda mentre le vendite di smartphone e computer, alimentate dalla pandemia, sono aumentate. Ha costretto le case automobilistiche, tra cui GM, a tagliare laproduzione e ha aumentato i costi per i produttori di smartphone come XiaomiCorp. La domanda supera di molto la capacità produttiva mondiale e le fabbriche che fanno ampio uso di processori hanno dovuto ridurre i turni o perfino chiudere temporaneamente. Cominciata nell’industria automobilistica, questa carenza si è diffusa negli ultimi mesi ad altri settori produttivi, e secondo alcuni analisti potrebbe danneggiare la ripresa dalla crisi dell’ulti mo anno, provocata dalla pandemia.

Ra.Vi.


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